Tribunale di Parma, Sez. Civile – Sentenza n. 948/2016 del 15.07.2016 (Dott. V. Rada Scifo)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PARMA

 

In composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Rada V. Scifo, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, iscritta al n° /14 R.G., avente ad oggetto “opposizione a precetto” promossa

da

G. M. B., rappresentato e difeso dagli avv.ti G. B. e M. E. C., ed elettivamente domiciliato in Parma, strada , presso lo studio di quest’ultima in virtù di procura a margine dell’atto di citazione;

– Attore opponente –

contro

F. M., rappresentata e difesa dall’avv. D. M., elettivamente domiciliata in Parma, , presso lo studio dell’avv. M. D. R., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta;

– Convenuta opposta-

CONCLUSIONI DELLE PARTI
Le parti hanno concluso come da verbale di udienza del 23.2.2016.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 24.9.2014, G. M. B. ha convenuto in giudizio F. M., proponendo opposizione avverso l’atto di precetto notificatogli in data 9.9.2014 con il quale l’opposta gli aveva intimato il pagamento della somma di euro 253.291,62, oltre a spese ed interessi, in virtù della sentenza n. 1903/2009 della Corte d’Appello Di Roma, che aveva statuito l’obbligo per il B. di versare, con decorrenza dal novembre 2005, la somma di euro 24.000,00 mensili alla madre affidataria per il mantenimento delle tre figlie ed euro 6.000,00 alla stessa ex coniuge a titolo di assegno divorzile a far data dal gennaio 2007.
Ha in particolare dedotto l’opponente di aver provveduto, sin dall’aprile 2012 a versare alla convenuta le somme per il mantenimento della stessa e delle due figlie O. e B., nonché, come da accordo intervenuto fra le parti nel maggio 2013, al versamento diretto del mantenimento alla figlia G. che da tempo è indipendente e lavora all’estero.
Ha pertanto chiesto l’attore al Tribunale adito: “previa sospensione, anche inaudita altera parte, dell’efficacia esecutiva del titolo” di “accertare che la signora F. M. non ha diritto di procedere all’esecuzione forzata, stante l’avvenuto pagamento degli importi precettati”, oltre alla condanna della M. al risarcimento ex art. 96 c.p.c.
Sospesa inaudita altera parte con decreto di fissazione del 8.10.2014 l’efficacia esecutiva del titolo, la causa veniva fissata all’udienza del 28.10.2014.
Con memoria depositata il 28.10.2014 si è costituita la convenuta al fine di prendere posizione sulla disposta sospensiva, rilevando l’inammissibilità della domanda attorea e l’incompetenza del giudice adito ai sensi dell’art. 615 c.p.c. a recepire domande di modifica delle condizioni divorzili. Ha pertanto chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni: in via preliminare. 1) revocare la sospensione dell’esecutività del titolo azionato, disposta con provvedimento dell’8.10.2014, per i motivi di cui in narrativa e per difetto di competenza funzionale in ordine ad una pronuncia che implica il potere di modificare le modalità di versamento di assegni di mantenimento stabiliti nel giudizio divorzile con sentenza definitiva della Cassazione e passata in giudicato; nel merito: 2) dichiarare il difetto di competenza funzionale, l’inammissibilità, l’irricevibilità e/o comunque l’infondatezza in ordine ad una pronuncia che implica il potere di modificare le modalità di versamento
di assegni di mantenimento stabiliti nel giudizio divorzile con sentenza definitiva della Cassazione e passata in giudicato e, in ogni caso, rigettare la domanda avversaria perché infondata in fatto ed in diritto e per l’effetto, dichiarare che la convenuta possa procedere all’esecuzione forzata sui beni del debitore; in ogni caso 3) condannare l’attore alle spese di lite, anche ex art. 96 c.p.c.
A seguito di rigetto della richiesta di sospensione disposta dal giudice con ordinanza del 5 dicembre 2014, il Tribunale in composizione collegiale, adito ex art. 669 terdecies c.p.c., ha riformato il provvedimento reclamato, disponendo la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esecutivo in attesa della definizione del presente giudizio.
In data 17 febbraio 2015 l’opposta ha depositato la propria comparsa di costituzione e risposta nel merito, con contestuale istanza ex art. 177 c.p.c. , chiedendo la revoca del provvedimento del 15.1.2015 e ribadendo le conclusioni già rassegnate.
La causa è stata istruita documentalmente e trattenuta in decisione all’udienza del 23.2.2016 con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.; a seguito di smarrimento del fascicolo d’ufficio da parte della cancelleria, lo stesso è stato trasmesso alla scrivente in data 5.7.2016, come da attestazione in atti.
Giova innanzitutto premettere che con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. si contesta il tipico effetto processuale del titolo attraverso la negazione dell’esistenza del titolo fin dall’origine, o sopravvenuta, ovvero attraverso la negazione dell’idoneità soggettiva del titolo a fondare l’esecuzione, oppure per ragioni di merito.
In particolare, nel giudizio di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l’inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto pieno sviluppo ed è stata in esame (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 3 Ordinanza, 18-02-2015, n. 3277).
Orbene, considerato che l’opposta ha agito in virtù della sentenza definitiva n. 1903/09 della Corte d’Appello di Roma, che prevede il pagamento a carico dell’opponente del contributo per il mantenimento delle tre figlie (oltre all’assegno divorzile) direttamente all’opposta, giova ricordare che la sentenza di divorzio, in relazione alle statuizioni di carattere patrimoniale in essa contenute, passa in cosa giudicata “rebus sic stantibus”; come precisato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, la sopravvenienza di fatti nuovi, successivi alla sentenza di divorzio, non è di per sé idonea ad incidere direttamente ed immediatamente sulle statuizioni di ordine economico da essa recate e a determinarne automaticamente la modifica, essendo al contrario necessario che i “giustificati motivi” sopravvenuti siano esaminati, ai sensi dell’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni, dal giudice da tale norma previsto, e che questi, valutati detti fatti, rimodelli, in relazione alla nuova situazione, ricorrendone le condizioni di legge, le precedenti statuizioni. Ne consegue che, salvo il caso in cui, successivamente alla pronuncia della sentenza di separazione o divorzio, intervenga tra le parti un accordo modificativo delle condizioni stabilite nella sentenza, l’ ex coniuge tenuto, in forza della sentenza di divorzio, alla somministrazione periodica dell’assegno divorzile, il quale abbia ricevuto la notifica di atto di precetto con l’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dalla predetta sentenza, non può – in assenza di revisione, ai sensi del citato art. 9 della legge n. 898 del 1970, delle disposizioni concernenti la misura dell’assegno di divorzio da corrispondere all’ ex coniuge – dedurre la sopravvenienza del fatto nuovo, in ipotesi suscettibile di determinare la modifica dell’originaria statuizione contenuta nella sentenza di divorzio, nel giudizio di opposizione a precetto (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 1 Ordinanza, 18-07-2013, n. 17618 e Cass. n. 20303/2014).
Al riguardo, richiamate le considerazioni espresse dal precedente giudice titolare con ordinanza del 5.12.2014, non appare sufficientemente dimostrato l’intervenuto accordo tra le parti circa la corresponsione diretta dell’assegno di mantenimento alla figlia G., atteso che, in assenza di espressa formalizzazione, non può riconoscersi, anche in considerazione dell’elevata conflittualità fra i coniugi, idonea valenza probatoria al fax del 13.5.2013 in atti (doc. n. 4 fasc. attoreo).
Pertanto, si condividono le conclusioni di cui al citato provvedimento, ove si legge che “in presenza di un titolo giudiziale ed in mancanza di un accordo a latere successivo, i pagamenti dell’assegno direttamente alla figlia G. non hanno avuto efficacia liberatoria” (cfr. pag. 4 citata ordinanza), poiché trattasi di circostanza che possono essere dedotte e provate solo nel giudizio di divorzio e, se intervenute successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, solo con richiesta di revisione ai sensi del citato art. 9 della legge n. 898 del 1970.
Conclusivamente, assorbite le ulteriori questioni, l’opposizione risulta infondata e va rigettata, essendo peraltro da escludere che il giudice di questa opposizione possa rimettere la causa al giudice competente ex art. 9 della legge n. 898 del 1970 per la sua valutazione, posto che l’art. 616 c.p.c. limita la remissione della causa ad altro giudice alla sola ipotesi di incompetenza per valore, non ricorrente nella specie (cfr. sul punto Cass. 16 giugno 2011 n. 13184).
Va altresì respinta, in quanto non sufficientemente provata, l’istanza della convenuta di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. atteso che “il soggetto che intenda far valere la responsabilità aggravata del creditore procedente non deve limitarsi ad allegare i fatti relativi alla condotta ma deve altresì illustrare il nocumento patrimoniale e non patrimoniale effettivamente subito in virtù di detta condotta” (cfr. Cass. civ. Sez. III, 18-01-2012, n. 691 ).
Ed invero, l’operatività della previsione di cui alla suddetta norma rinviene i suoi presupposti nella totale soccombenza della parte che pone in essere l’illecito, nella mala fede o nella colpa grave con cui la stessa ha agito o resistito in giudizio e nella prova del danno derivante dal comportamento processuale della controparte, con onere a carico della parte che invoca il ristoro del pregiudizio contemplato dalla richiamata norma. In tal senso, infatti, seppure la liquidazione del danno è, per espressa previsione, effettuabile anche d’ufficio, deve ritenersi comunque necessario che l’an ed il quantum debeatur siano desumibili dagli atti di causa, perché il Giudice possa procedere alla quantificazione del pregiudizio da ristorare (cfr. Trib. Bari Sez. III, 05-02-2013).
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate, secondo il valore della causa e tenuto conto dell’effettiva attività difensiva svolta, come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa R.G. n. /14, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione così provvede:
1. rigetta l’opposizione;
2. condanna l’opponente al pagamento delle spese di lite in favore di controparte, liquidate in complessivi euro 6.500,00 per compensi difensivi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Parma, 11.7.2016.

Il Giudice
Dott.ssa Rada V. Scifo

 

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