Tribunale di Parma, Sez. Civile – Sentenza n. 1078/2016 del 31.08.2016 (Dott. V. Scifo Rada)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PARMA

In composizione monocratica, in persona del Giudice, dott.ssa Rada V. Scifo, ha pronunciato la presente

SENTENZA
nella causa iscritta al n. XXX R.G., avente ad oggetto “vendita di cose immobili”, promossa

da

L. M., rappresentata difesa dall’avv. G. F. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del suddetto difensore, sito in Parma;

-attore –

Contro

B. R., rappresentato e difeso dagli avv. D. B. e G. D. A. ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, sito in Parma, via ;

– convenuto –

e contro

C. A. (C.F. );

– convenuto contumace-

CONCLUSIONI

Le parti hanno rassegnato le proprie conclusioni come da verbale di udienza del 5.7.2016.

MOTIVI DELLA DECISIONE

M. L. ha convenuto davanti all’intestato Tribunale la R. C. s.r.l., R. B., F. V. e A. C. per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: a) dichiarare la nullità, a norma degli artt. 7 e 17 della legge n. 47/85, del contratto definitivo di compravendita stipulato dall’attore in data 6.4.2006 a ministero notaio F. V. con la R. C. s.r.l. avente ad oggetto il trasferimento di un appartamento sito in Parma, , nel complesso immobiliare denominato “R. C.” e, per l’effetto, dichiarare tenuta e condannare la suddetta società al pagamento dell’importo di € 199.784,20 versato dall’attore a titolo di prezzo e di IVA; b) condannare F. V. alla restituzione in favore del L. dell’importo di € 5.050,70 a lui corrisposto a titolo di onorario per il suddetto rogito; c) condannare, in via concorsuale, la R. C. s.r.l., R. B., F. V. e A. C. al risarcimento in favore dell’ attore di tutti patrimoniali patiti e patiendi; danni che, salva quella maggior o minore somma che verrà ritenuta di giustizia ex art. 1226 c.c., si quantificano in € 47.019,39; d) condannare, in via concorsuale, i convenuti al risarcimento in favore dell’attore di tutti i danni morali ed esistenziali da lui patiti, danni da liquidarsi equitativamente ex art. 1226 c.c.
All’udienza del 24.9.2008 si è costituito B. R., chiedendo il rigetto delle domande attoree in quanto inammissibili e infondate, col favore delle spese di giudizio.
Alla medesima udienza si è costituito altresì V. F., chiedendo, in via principale, il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti sia a titolo esclusivo che solidale e/o concorsuale nonché, in subordine, in caso di accoglimento anche parziale delle domande svolte, di accertare il concorso di colpa dell’attore ex art. 1227 c.c. e, per l’effetto, escludere/limitare la quantificazione del risarcimento.
La R. C., nei cui confronti è stata disposta rinnovazione della notifica della citazione alla suddetta udienza del 24.9.2008, ed il C. sono rimasti contumaci.
A seguito del fallimento della R. C. la causa è stata interrotta e successivamente riassunta dall’attore anche nei confronti del fallimento, che, costituitosi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità della domanda svolta nei propri confronti per essere competente il Tribunale fallimentare ex art. 52 l. fall.
Estromesso dal giudizio il fallimento con sentenza parziale n. 1593/10, la causa è stata istruita con assunzione di prove orali; con sentenza parziale n. 1532/13 l’intestata autorità giudiziaria ha rigettato la domanda proposta nei confronti di F. V. ed ha rimesso la causa in istruttoria per la prosecuzione della stessa nei confronti di B. e C., provvedendo con separata ordinanza alla nomina del CTU.
Trattenuta a decisione all’udienza del 16.6.2015, con assegnazione dei termini di legge per il deposito di conclusionali e repliche, la causa è stata rimessa istruttoria con ordinanza del 27.10.2015 a causa del trasferimento del magistrato titolare ad altro ufficio e trattenuta definitivamente in decisione all’udienza del 5.7.2016 senza la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per espressa rinuncia delle parti.
Richiamate e condivise le considerazioni di cui alla sentenza non definitiva n. 1532/13, che a sua volta fa riferimento alla sentenza n. 754/13, ed al decreto n. 3517/12 (emesso nella causa di opposizione allo stato passivo promossa dal B.), va affermata la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. dei convenuti per i danni cagionati all’attore: il C., da un lato, per la realizzazione delle opere abusive e il B., dall’altro, per aver quanto meno consentito, senza adottare le iniziative richieste dalla legge, la realizzazione di opere in contrasto con quanto previsto dalla concessione edilizia rilasciata sulla base del suo progetto.
Infatti, per quanto riguarda il primo, occorre evidenziare che questi era, all’epoca dei fatti, l’amministratore ed il socio di maggioranza della R. C. : non possono dunque esservi dubbi sulla sussistenza della sua responsabilità personale in quanto, senza il suo apporto, il fatto illecito non si sarebbe consumato nei confronti del promissario acquirente dell’appartamento.
È dunque ravvisabile del C. una responsabilità ai sensi del citato art. 2043 c.c. per aver ideato e realizzato, nelle qualità sopra descritte, un rilevante abuso edilizio e per averlo occultato ai clienti, rappresentando uno stato di fatto e di diritto non veritiero e per aver formalizzato, mediante rogiti notarili, la vendita di unità immobiliari facenti parte del complesso immobiliare oggetto dei provvedimenti di rigetto delle varianti, della conseguente ordinanza di sospensione dei lavori del 14.2.2006 e dell’ingiunzione di demolizione del 16.3.2006 (cfr. sul punto anche sentenza n. 395/16 emessa dall’intestato Tribunale il 15.3.2016 in atti).
Riguardo alla posizione del B., in considerazione della responsabilità ex art. 6 della legge n. 47/85 (ora 29 D.P.R. 380/01) del Direttore dei Lavori, insieme al titolare della concessione, al committente ed al costruttore per la conformità delle opere costruite alle previsioni della concessione ad edificare ed alle modalità esecutive stabilite dalla medesima, egli avrebbe dovuto contestare agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni della concessione edilizia, fornire al Sindaco una motivata comunicazione scritta della violazione e rinunziare all’incarico contestualmente a tale comunicazione. Non è infatti possibile sostenere che la violazione delle prescrizioni sia avvenuta nel lasso temporale tra la rinuncia all’incarico (risalente al 21.11.2005) ed il primo accertamento del 10.2.2006, essendo sufficiente a tal proposito esaminare il verbale del 15.3.2006. Da ciò consegue la responsabilità del B., in quanto “poiché l’attività edilizia è proseguita dalle dimissioni del direttore dei lavori all’intervento delle autorità amministrative, una tempestiva segnalazione da parte del direttore dei lavori avrebbe impedito la continuazione dell’attività edilizia abusiva (di cui è stata disposta la sospensione solo nel febbraio 2006) e che poi ha comportato l’acquisizione del bene al patrimonio del comune” (cfr. pag. 24 citata sentenza n. 1532/13).
Alla luce di tali premesse, è stato correttamente affidato al CTU l’incarico relativo alla quantificazione del pregiudizio patrimoniale patito dall’attore in relazione alla previsione del vincolo di inalienabilità dell’immobile, al versamento del maggior prezzo al Comune di Parma, nonché alle eventuali somme per spese superiori rispetto a quelle preventivate per il completamento dell’opera, con specifica indicazione del valore del bene acquistato con il preliminare del 8.7.2004, secondo il permesso di costruire n. 981/03, e di quello di cui al rogito con il notaio V. del 6.4.2006 (cfr. ordinanze del 11.11.2013 e del 20.1.2014).
Orbene, secondo le risultanze della consulenza tecnica espletata, che si condividono in quanto ben motivate e scevre da vizi logico-giuridici, si evince che (cfr. in particolare pagg. 17 e ss. CTU):
a) riguardo al danno relativo alla previsione del vincolo di inalienabilità del bene fino al 24.6.2022, la somma dovuta all’attore ammonta ad euro 36.938,14;
b) per quanto attiene alla determinazione dell’importo da versare al Comune di Parma, il valore dell’area di sedime alla data del 30.9.2014 risulta essere pari ad euro 28.567.96;
c) quanto al valore del bene, il CTU ha evidenziato che lo stesso, secondo la situazione riferita nel permesso di costruire n. 981/03, risulta pari ad euro 184.992,50 (mq 85,25) mentre quello di cui alle planimetrie allegate al preliminare del 8.7.2004, corrispondente a quello indicato dal notaio V. nel rogito del 6.4.2006, risulta pari ad euro 243.040,00 (mq 112);
d) non sono stati individuati esborsi per spese superiori a quelle preventivate per il completamento dell’opera, avendo il consulente evidenziato che i documenti prodotti al riguardo dall’attore ineriscono a forniture di materiale e prestazioni effettuate dalla R. C. s.r.l.
Gli esiti della predetta CTU appaiono condivisibili, perché sostenuti da idonea e logica motivazione, frutto di accurate valutazioni dello specialista, cui ci si riporta, ove il consulente ha dettagliatamente risposto alle osservazioni poste dalle parti, dovendosi rilevare che l’elaborato peritale risulta sufficientemente esaustivo, tecnicamente ben motivato e privo di vizi logici e/o giuridici.
Quanto alla valutazione da parte del Giudice della consulenza tecnica, va comunque precisato che la giurisprudenza suole affermare che, quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l’obbligo della motivazione è assolto già con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso (cfr. sul punto, Cass. civile, sez. I, 04 maggio 2009, n. 10222; Cass. civile, sez. I, 03 aprile 2007, n. 8355; Cass. civile, sez. lav., 22 febbraio 2006, n. 3881; Cass. civile, sez. III, 14 febbraio 2006, n. 3191; Cass. civile, sez. I, 21 febbraio 2001, n. 2486; Cass. civile, sez. lav., 8 agosto 1998, n. 7806; Cass. civile, sez. lav., 14 maggio 2003, n. 7485; Cass. civile, sez. I, 26 aprile 1999, n. 4138).
Si ricordi invero che nell’ambito di un procedimento civile, il giudice di merito non è tenuto a motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni contenute nelle consulenze tecniche prodotte dalle parti allorquando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse e conformi, invece, al parere del proprio consulente; egli non è tenuto nemmeno, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza di ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra fra i poteri del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto, quando risulti, dal complesso della motivazione, che lo stesso giudice ha ritenuto esaurienti i risultati conseguiti con gli accertamenti svolti (cfr. App. Napoli Sez. IV Sent., 28-11-2008).
Quanto al concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, eccepito dal convenuto B., si ricordi che a norma dell’art. 1227 c.c., applicabile, per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c. , anche nel campo della responsabilità extracontrattuale, la prova che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento usando l’ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore-danneggiante che pretende di non risarcirlo, in tutto o in parte (cfr. Cass. civ. n. 23148/14).
Nel caso di specie, il B. non ha fornito sufficienti elementi di prova per accertare l’esistenza di un apporto causale ad opera del comportamento colposo dell’attore nella causazione dell’evento dannoso, con la conseguenza che non rimane che l’incidenza causale del comportamento dei danneggianti, e, per l’effetto, solo questi vanno condannati al risarcimento.

Non può infine trovare accoglimento, in quanto sfornita di adeguata prova, la domanda attorea di risarcimento del danno non patrimoniale, atteso che tale tipologia di danno costituisce una categoria ampia e onnicomprensiva nella cui liquidazione il Giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di diverse categorie autonomamente valutabili per pregiudizi identici. E’ necessario, quindi, anche quando il fatto illecito integri gli estremi del reato, che del danno sia data la prova, anche per presunzioni semplici, dovendo escludersi un danno “in re ipsa”. In sostanza il danno non patrimoniale deve essere dimostrato in giudizio da chi ne invoca il ristoro con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, non potendo prescindere, il richiedente, dall’allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-04-2014, n. 7818; Cass. civ. Sez. III Ordinanza, 12-04-2011, n. 8421).
Alla mancata prova riguardo all’ an debeatur consegue l’impossibilità di procedere comunque ad una liquidazione equitativa del danno, atteso che “l’attore che abbia proposto una domanda di risarcimento dei danni da accertare e liquidare nel medesimo giudizio, ha l’onere di fornire la prova certa e concreta del danno, così da consentirne la liquidazione, oltre che la prova del nesso causale tra il danno ed i comportamento addebitati alla controparte; può infatti farsi ricorso alla liquidazione in via equitativa allorché sussistano i presupposti di cui all’art. 1226 c.c., solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibile di quantificazione” (cfr. Cass. n. 3794/08).
Conclusivamente, i convenuti B. e C. devono essere condannati al pagamento, in solido, in favore dell’attore della somma complessiva di euro 65.506,10, arrotondati ad euro 65.506.00 oltre rivalutazione dal deposito della CTU alla sentenza ed interessi legali dalla sentenza al saldo.
All’attore spetta altresì il risarcimento del danno emergente relativo alle somme corrisposte alla Cooperativa “I. B.” ed al professionista che l’ha assistito nella fase stragiudiziale, rispettivamente pari ad euro 2.261,91 e ad euro 918,00 (cfr. doc. nn. 10 ed 11), per un totale di euro 3.179,91, arrotondato ad euro 3.l8o.oo. oltre accessori di legge dal dovuto al saldo.
Le spese processuali del presente giudizio seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della causa, vengono liquidate come da dispositivo a favore del difensore antistatario che ne ha fatto espressa richiesta ex art. 93 c.p.c. Per le stesse ragioni, le spese di CTU, liquidate come in atti, vanno definitivamente poste a carico dei convenuti in solido tra loro e, nei rapporti interni, nella misura di V2 a carico di ciascuno

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente decidendo, nella causa civile R.G. n. XXX, ogni diversa istanza disattesa, così decide:
CONDANNA R. B. e A. C., in via solidale fra loro, al pagamento, in favore dell’attore, della somma di €. 65.506.00 oltre rivalutazione dal deposito della CTU alla sentenza ed interessi legali dalla sentenza al saldo; CONDANNA R. B. e A. C., in via solidale fra loro, al pagamento, in favore dell’attore, della somma di €. 3.180,00, oltre accessori di legge dal dovuto al saldo;
CONDANNA i suddetti convenuti, in solido, al pagamento in favore del difensore antistatario di parte attrice, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi €. 10.508,00, di cui €. 10.000,00 per compensi difensivi ed €. 508,00 per esborsi, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. come per legge;
PONE le spese della consulenza tecnica espletata, liquidate come in atti, a carico dei convenuti in solido e, nei rapporti interni, nella misura di V2 a carico di ciascun convenuto.

Così deciso in Parma, il 25.8.2016

IL GIUDICE
Dott.ssa Rada V. Scifo

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