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Pubblica su Facebook post gravemente offensivi: docente destituito

Tribunale di Alessandria – sentenza n. 130/2021, sez. Lavoro

La scrittura di post denigratori su Facebook da parte di un docente è in contrasto con le funzioni specificate nel D.Lgs 297/94?

È la domanda che si è posta il Tribunale di Alessandria esaminando il ricorso presentato da un docente destituito in seguito alla pubblicazione di alcuni contenuti sul proprio profilo Facebook.

Il caso

Durante i mesi di aprile-maggio 2020, il ricorrente aveva pubblicato molti post ritenuti «lesivi dell’immagine dell’Amministrazione di appartenenza nonché di personalità dello Stato quali il Presidente della Repubblica, il Ministro dell’Istruzione, il Ministro della Giustizia e il Ministro dell’Agricoltura e di altre personalità e soggetti […] menzionati» (riportati nel testo integrale). Tali «espressioni gravemente lesive sia della dignità delle persone e dei ruoli rivestiti sia dell’immagine stessa dello Stato e dell’Amministrazione» sono state ritenute «gravemente non conformi ai doveri ed alle responsabilità connessi alla funzione rivestita e quindi perseguibili disciplinarmente» in quanto contrarie a quanto stabilito dall’art. 498, c. 1, lett. a), D.Lgs 297/94 in materia di Sanzioni disciplinari; e basandosi su tale principio, l’U.S.R. Piemonte ha deciso la destituzione del docente in seguito a un colloquio in cui quest’ultimo aveva espresso le proprie scuse facendo comunque valere le proprie ragioni.

Secondo il ricorso presentato dal docente, infatti, la condotta contestatagli è al di fuori dell’ambito istituzionale, quindi estranea alle fattispecie specificate dal D.Lgs 297/94. In seconda battuta, ma non meno importante, le opinioni espresse rientrerebbero nel diritto di critica riconosciuto e tutelato dalla Costituzione come libertà di pensiero.

La sentenza

Dopo aver esaminato il caso, il giudice Ardoino rigetta il ricorso. Le motivazioni sono principalmente due:

  1. quanto pubblicato dal ricorrente non rientra nel diritto di critica. È vero che la libertà di pensiero è garantita dalla Costituzione e che questa può manifestarsi anche nel dissenso, ma ciò non vale per gli insulti. Questi ultimi, infatti, travalicano il limite della continenza formale e non sono giustificabili (nemmeno tenendo conto del disagio provato durante l’emergenza sanitaria);
  2. la funzione didattico-educativa esercitata dal ricorrente, inoltre, richiede che lo stesso sia un esempio da seguire per i suoi allievi in termini di rispetto per le Istituzioni e utilizzo di espressioni appropriate. L’atto di pubblicare post denigratori su un profilo Facebook visibile a tutti (quindi anche agli alunni) è «in grave contrasto con i doveri alla funzione» previsti dal D.Lgs 297/1994; in tal senso, la sanzione prevista non è sproporzionata.

In conclusione, il ricorrente viene condannato a rifondere il Ministero convenuto delle spese di lite. Il Tribunale, inoltre, si riserva di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per valutare la rilevanza penale delle condotte tenute dal ricorrente.

Considerazione finale

Non è un mistero che i social network (e alcuni più di altri) sono diventati “luoghi” in cui ognuno si sente libero di sfogare le proprie frustrazioni. Se da una parte questo può considerarsi come libertà di espressione al suo massimo, dall’altra non si può negare l’esistenza di ambienti tossici (sebbene virtuali) in cui la libertà di espressione e pensiero viene confusa con la libertà di insulto.
I social non sono una cloaca in cui riversare la parte peggiore di noi. Ciò che facciamo sui social si riflette sulla nostra immagine “reale”.
Su Internet rimane tutto impresso. Quando ce ne renderemo conto, casi come questo saranno evitabili.

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