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Referendum del 4 dicembre 2016: appunti sulla dottrina circa le questioni nodali

1) Premessa
Si pubblica di seguito la relazione tenuta dal Dr Emanuele Mascolo, al convegno dal titolo” Giornata di studo sul referendum costituzionale del 04 dicembre 2016″, svolto a Barletta l’11.11.2016 accreditata dal COA Trani. 
Il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre, avrà per oggetto la Legge costituzionale, pubblicata nella G.U. n. 88 del 15 aprile 2016, che riguarda l’approvazione o meno (rimessa con quesito referendario) della Legge Costituzionale approvata dalla Camera in seconda deliberazione il 12 aprile 2016.
Il referendum de qua sarà di tipo oppositivo – confermativo ex art. 138 Cost., essendo la Legge, stata approvata, con la sola maggioranza assoluta anziché con la maggioranza qualificata dei 2/3.
La Legge Costituzionale, prevede di modificare 47 articoli della Costituzione vigente e particolarmente la riforma della Parte II.
Molteplice è la dottrina che si è sviluppata nei mesi circa i punti nodali della riforma de qua.
Molteplici sono stati i dibattiti a cui abbiamo assistito attraverso i mass media, che si spera abbiano suscitato interesse e abbiano spronato a capire di più.
Scopo di questa relazione è infatti quello di cercare di chiarire i punti nodali del prossimo referendum, con l’ausilio della dottrina, tralasciando volutamente quali siano i motivi del sì e i motivi del no: ognuno in coscienza sarà libero di orientare il proprio voto, sperando che attraverso questo focus storico e dottrinale potrà acquisire una maggiore consapevolezza.
È di certo impresa ardua questa, pertanto quanto segue deve necessariamente essere frutto non di una mera e strampalata citazione dottrinale, ma deve chiarire le soluzioni che molti esperti hanno potuto offrire, consentendo di unire alla formazione professionale continua, l’informazione sul tema oggetto del presente intervento.
Per far ciò è utile fissare alcuni tasselli attraverso i quali costruire e orientare questo dibattito, tenendo bene a mente quanto affermava Aristotele: “correggere una Costituzione non è impresa minore del costruirla la prima volta.”[1]
Partendo da tale assunto, i tasselli da fissare dunque, sono cinque: il rispetto dei principi costituzionali, lo scopo della riforma in riferimento alla forma Stato – Governo, l’assetto costituzionale previsto dalla riforma e la legge elettorale; la verifica dei requisiti della riforma, l’iter approvativo dei Decreti Legge, come previsto dalla riforma.
 
2) Il rispetto dei principi costituzionali
Avendo in questo modo tracciato le linee guida del nostro confronto, possiamo procedere sviluppando il primo, che riguarda la valutazione del rispetto dei principi Costituzionali da parte della riforma.
Alla base di tutto dobbiamo porre l’art. 138 della Cost.: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendumpopolare [cfr. art. 87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata [cfr. artt. 73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.
Nel nostro caso, si giunge al referendum del 4 dicembre perché i voti delle due Camere sono stati inferiori ai 2/3 e perché, su iniziativa di parlamentari e cittadini si è avviata la procedura di raccolta firme.
Circa il primo problema di cui ci accingiamo a discutere, la dottrina evidenzia che si è in presenza di un D.D.L. Costituzionale, proposto su iniziativa governativa, la cui materia è però di competenza parlamentare.
Va sottolineato a proposito che nessuna norma può vietare di far questo, però va ricordato che tale procedimento era già stato contestato a proposito del referendum Costituzionale del 2005.
Quale dovrebbe essere l’’approccio del Governo di fronte ad un’ipotesi di riforma Costituzionale, viene espresso da Calamandrei nel 1947 con testuali parole: “quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana”.[2]
Secondo parte della dottrina, infatti, si può parlare di un appiattimento della procedura ex art. 138 Cost. a livello di una Legge ordinaria, da cui discendono varie storture della stessa riforma.[3]
Secondo altra parte della dottrina, tale rottura procedimentale rispetto al passato, non sussiste, essendoci il completo rispetto della Costituzione, nella quale, non emerge la distinzione tra riforma parziale e integrale del testo.
La litteralegis dell’articolo 138 Cost., offre infatti lo spunto per sottolineare un dato di fatto: la previsione della maggioranza dei 2/3 dei voti ha lo scopo di non dare la possibilità di ostruzione alla minoranza, ma in mancanza di tale maggioranza, procedere con il quesito referendario.
Secondo tale parte della dottrina, il procedimento ex art. 138 Cost., va ad innestare un procedimento legislativo ordinario, la cui iniziativa è prevista dall’art. 71, co. 1, Cost, il quale recita: “l ‘iniziativa delle leggi appartiene al Governo [cfr. art. 87 c. 4], a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale [cfr. artt. 99 c. 3, 121 c. 2]”.[4]
Non essendo possibile per motivi di tempo, ripercorrere tutti i lavori dell’Assemblea costituente e le varie interpretazioni succedutesi, deve semplicemente rilevarsi che per una parte della dottrina il procedimento di revisione della Legge Costituzionale è del tutto corretto.
Chi invece ha contestato questo procedimento, ha utilizzato come cavallo di battaglia la Sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 sull’illegittimità costituzionale della Legge elettorale, nella quale e attraverso la quale viene bocciato il c.d. “Porcellum”, evidenziandone lo status di debolezza del Parlamento alla luce dei premi di maggioranza.
Infatti, parte della dottrina, ha ritenuto, che già, per questo semplice motivo e cioè che la Sentenza della Corte Costituzionale richiamata, statuiva l’illegittimità del Porcellum, “le Camere avrebbero dovuto essere immediatamente sciolte dal Presidente della Repubblica con conseguente convocazione dei comizi elettorali per un nuovo Parlamento.”[5]
A tal proposito, la dottrina ha accolto criticamente l’entrata in vigore dell’“Italicum” cioè la nuova legge elettorale, tacciata di aver invertito il rapporto tra legge costituzionale e legge elettorale di modo che, la legge elettorale approvata per prima finisce per essere perno della riforma costituzionale.
 
3) Lo scopo della riforma in riferimento alla Forma Statro – Governo
Passiamo ora ad esaminare il secondo parametro di confronto: il riferimento alla forma Stato – Governo, come previsto dalla riforma in argomento.
Ha fatto particolarmente discutere l’abolizione della legislazione concorrente per tutte le Regioni eccetto per quelle a Statuto speciale, le quali a detta di alcuni autori, con questa riforma sarebbero rafforzate.[6]
La critica attiene a quell’ambito riformistico che investe anche quelle materie che dovrebbero rappresentare il fulcro dell’autonomia di ogni ente regionale.
Lo sguardo del legislatore di questa Legge Costituzionale, cade sull’articolo 117 Cost.; il quale attualmente regola le materie di competenza esclusiva dello Stato, lasciando la c.d. riserva alle Regioni.
L’articolo 117 della Cost., riformato però, prevederà la competenza dello Stato riguardo a molteplici materie, nonché la competenza dello stesso a dettare disposizioni generali e comuni in alcune materie, quali, solo per esempio, l’istruzione, la salute, istruzione universitaria, istruzione e formazione professionale.
Una prima critica, mossa dalla dottrina è quella che fa riflettere sul fatto che, se la potestà dello Stato, riguarderà le disposizioni generali e comuni per alcune materie, per le stesse la potestà attuativa a chi viene attribuita?
Alludendo in tal modo che la competenza concorrente regionale “uscirebbe dalla porta per entrare dalla finestra”.[7]
Dobbiamo interrogarci a questo punto se vi sia continuità con la ratio del testo vigente della Costituzione e la proposta di riforma.
Dobbiamo cercare se è possibile di comprendere lo scopo di questa riforma e verificare se conserva o no lo spirito dei Padri Costituenti o quanto meno non se ne discosti troppo.
Si tratta davvero di aggiornamento costituzionale al nuovo contesto europeo?[8]
Il contesto europeo, come qualche autore rileva, infatti, negli ultimi anni è stato sottovalutato dal dibattito Costituzionale sviluppatosi.
Ciò ha però suscitato dubbi in dottrina, di cui non possiamo esimerci di prenderne atto.
I dubbi in discorso riguardano proprio la previsione proposta per l’articolo 117, co.4, Cost., che disciplinerà le Leggi che attivano la c.d. “clausola di supremazia”, cioè in sintesi, quelle Leggi, che su proposta del Governo, interverranno nell’ambito di quelle materie non riservate alla competenza statale[9].
A tal proposito, dubbi difficilmente superabili riguardano la possibilità per il Senato, di proporre modifiche sia a maggioranza assoluta e sia a maggioranza relativa, con l’assurdità che solo nella prima ipotesi, la Camera potrà discostarsi da ciò che il Senato delibererà.[10]
Quid iuris?
È davvero un avvicinamento al sistema europeistico?
 
L’ASSETTO COSTITUZIONALE PREVISTO DALLA RIFORMA E LA LEGGE ELETTORALE.
Molteplici infatti sono le critiche mosse nei confronti della Legge n. 52/2015, meglio conosciuta come Italicum, nonché la Legge elettorale.
Tralasciando tutto ciò che essa prevede riguardo all’attribuzione dei seggi, quello che più deve preoccuparci in questa sede è ciò che è stato denominato “il combinato disposto tra Legge elettorale e riforma Costituzionale”.
Una delle questioni, questa appena accennata che per molti motiverà la propria scelta al prossimo referendum del 4 dicembre.
Va a questo punto rammentato che la Legge elettorale resterà sempre e comunque una Legge ordinaria ed in quanto tale può essere sottoposta a giudizio di costituzionalità, nonché a referendum.
Il referendum per la Legge elettorale è stato presentato non raggiungendo però le necessarie cinquecentomila firme, il giudizio di costituzionalità, nel caso in cui il referendum dovesse concludersi con esito positivo, avverrà entro dieci giorni dall’entrata in vigore della stessa, attraverso un ricorso motivato da almeno ¼ dei Deputati o 1/3 del Senatori, ex art. 39, co.11 Cost., novellato.
Dunque, nel caso di approvazione del referendum, la Corte Costituzionale potrà verificare la costituzionalità o meno della Legge elettorale.
Avverso tale iter, non sono mancati dubbi circa la violazione dei principi dell’ordinamento Costituzionale, ergo, della violazione del diritto di elettorato attivo, quale forma dell’esercizio della sovranità popolare.
A richiamare tali violazioni è quanto disposto dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 1146/1988, la quale si riservò di dichiarare l’incostituzionalità delle stesse Leggi Costituzionali, qualora violassero i principi fondamentali della Costituzione.
Da ciò discendono quelle che per alcuni sono le perplessità, ma sommessamente si può sostenere che tali violazioni sono concrete e anche gravi.
In particolare, si evincono, dall’iter ut sopra, le violazioni in primis del principio della sovranità popolare ex art. 1 Cost. ed il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost..
Analizzando infatti la lettera dell’art. 1, co. 2 Cost., leggiamo: “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Senza ombra di dubbio, dunque si può recepire quella parte della dottrina che sul punto ha evidenziato il fatto che la Costituzione stessa, garantisce “l’elettività diretta delle assemblee legislative”.[11]
Ciò è frutto anche della semplice interpretazione letteraria dell’art. 1, co.2, Cost., quando sostiene l’esercizio della sovranità del popolo “nelle forme” facendone della norma stessa una garanzia del richiamato principio.
Secondo una parte della dottrina, tutto ciò di cui abbiamo discusso, anche se presenta qualche difetto è pur sempre il tentativo di reagire alla situazione politica del nostro Paese.[12]
A tal punto la dottrina dibatte su come viene attribuito il voto dell’elettorato attivo, al capolista di un partito, tematica che non ci occupa perché lo scopo di questo lavoro è fare chiarezza sulla dottrina del referendum circa i punti nodali.
Si deve però prendere atto che, come la dottrina ha giustamente evidenziato, una tale Legge elettorale, dovrebbe portare alla modifica di “alcune norme della riforma Costituzionale”.[13]
 
LA VERIFICA DEI REQUISITI DELLA RIFORMA.
Proseguiamo la nostra analisi giungendo al quarto punto, quello che riguarda cioè la verifica dei requisiti della riforma Costituzionale, al fine di essere in grado, con le valutazioni che ognuno dovrà e saprà fare, di capire se il referendum del 04 dicembre 2016 è davvero una grande riforma.
Abbiamo avuto modo di vedere che i problemi applicativi non mancano.
Forse qualcuno potrebbe obiettare che sono dubbi politici, insinuazioni inutili, pura demagogia, pertanto al fine di non lasciarci dietro i sospetti, procediamo con la suddetta verifica dei requisiti, per poter stabilire almeno da che parte stare, con l’auspicio da parte di chi scrive che ci si possa rendere conto dell’esistenza di alcuni gravi vulnus che, nonostante tutto, ci sono.
Comportando la riforma, la modifica della Parte II della Costituzione, quindi una parte ampia, secondo la dottrina è opportuno procedere con “emendamenti correttivi e integrativi[14], anziché operare tramite una grande riforma, perché in tal modo, si rischia di confondere l’elettore, essendo questo un contrasto con la libertà di voto ex art. 48 Cost.[15]
Libertà di voto che chi scrive, mette seriamente in discussione per ciò che attiene il prossimo referendum viste le complesse sfaccettature tecniche del quesito proposto.
Infatti, all’inizio dei lavori referendari è stato auspicato la suddivisione in più quesiti referendari.
Parte della dottrina ha subito smorzato tutto ciò facendo intendere che la c.d. “necessaria omogeneità” di cui stiamo parlando è imposta dalla Corte Costituzionale per i referendum abrogativi, al fine di porre “un argine all’aggregazione dei quesiti”.[16]
 
4) L’iter approvativo dei Decreti Legge
La riforma Costituzionale in argomento, incide in modo particolare, sull’iter approvativo dei Decreti Legge.
Affrontiamo brevemente quindi l’ultimo dei cinque tasselli fondamentali.
La dottrina sul punto ha chiarito che in tal modo si andranno a costituzionalizzare i limiti previsti dalla Legge n. 400/1988.[17]
È il tentativo questo – si è detto – di limitare eventuali abusi ai quali abbiamo assistito, attribuendo dei mezzi migliori, al fine di impugnare i Decreti illegittimi innanzi alla Corte Costituzionale.
L’iter approvativo dei Decreti Legge, permetterebbe al Presidente della Repubblica di rinviare la Legge di conversione del Decreto Legge alle Camere, prorogando di 30 giorni il termine di 60 giorni fissato per la conclusione di tale procedimento.
La dottrina dubita e dibatte su una questione delicatissima: se è vero che il Decreto Legge può intervenire anche su materie riservate alla bicamerale, la Legge di conversione dovrà essere “monocamerale o bicamerale?
Per evitare problemi come questo è stato previsto il c.d. “voto a data certa” previsto dall’art. 72, co.7, Cost., nella Legge di riforma.
In tal modo, tranne che per le Leggi elettorali o che prevedano indulti, un D.D.L. urgente può essere inserito con priorità all’ordine del giorno dei lavori parlamentari e sottoposto al voto entro 70 giorni.
Se l’iter previsto sembra chiaro e snello, qualche malpensante (in senso buono), potrebbe insinuare che con l’avallo della maggioranza della Camera, tutto può essere urgente.
Inoltre, se i 70 giorni della data certa non venissero rispettati, quid iuris?
Si potrà deliberare anche oltre i 70 giorni o il procedimento dovrà tornare al punto di partenza?
Oppure, il procedimento si conclude ed è necessaria una proposta ex novo?
A dirla tutta è un punto scritto in un modo che oscilla tra il semplice e il semplicistico che lascia poco spazio alla fantasia: va preso atto con buona pace di chi non vorrà ammetterlo, dei rischi che un iter del genere possa arenarsi e portare ad un nulla di fatto, nel nostro Paese poi, c’è tutto.
La riforma si era prefissa l’obiettivo di semplificare l’iter di formazione delle Leggi, ma opportunamente deve notarsi che finisce per prevedere otto iter diversi tra cui quello in commento.
Alla luce delle criticità osservate, possiamo realmente definire, come parte della dottrina ha fatto, l’iter di approvazione dei Decreti Legge, con voto a data certa, davvero una “corsia preferenziale”?[18]
La c.d. corsia preferenziale, rappresenterebbe il sistema attraverso cui si possa arginare o meglio, si spera, evitare, l’abuso della decretazione d’urgenza?
Ma vogliamo anche addentrarci a discutere brevemente sulla funzione legislativa, che la Costituzione vigente all’art. 70 Cost., attribuisce alle due Camere.
Art. 70 Cost, che nel testo della riforma, diventa, procedendo alla sola interpretazione letteraria, molto più complesso, indice di complessità anzicchè di semplificazione.
 
5) Conclusioni
Alla luce di quanto esaminato dunque, i problemi applicativi sono stati sollevati e sono molti e non sono stati esaminati nemmeno tutti.
La scelta delle problematiche delle quali discutere, ha tenuto volutamente fuori, questioni politiche e quorum elettorali, esaminando invece i problemi che possono causare impasse stricto sensu.
Concludendo, chiediamoci, come qualche autore ha fatto e dal quale prendo l’idea: possiamo davvero, nel complesso ritenere che la riforma Costituzionale in commento, se approvata “sarebbe adatta alle esigenze e alle caratteristiche politico – antropologiche e alle attuali condizioni sociali del nostro Paese”?[19]
Come si suol dire, ai posteri l’ardua sentenza.
 

Tratto col consenso dell’autore da Tutto il diritto online

 


 
[1]Arisotele nel libro IV della Politica.
[2] P. Calamandrei, “Come nasce la nuova Costituzione”, in Il Ponte, 1947, pag. 1 e ss.
[3]A.Pace, “Referendum 2016 sulla riforma costituzionale. Le ragioni del no”, Giuffrè, 2016.
[4] B. Caravita, “Referendum 2016 sulla riforma costituzionale. Le ragioni del si”, Giuffrè, 2016.
[5] A. Pace, “Una riforma eversiva della Costituzione Vigente”, in Libertàgiustizia,6 novembre 2016.
[6] A. Pace, op. cit.
[7] A. Pace, op.cit.
[8] B. Caravita, op.cit.
[9] P. Veronesi, “Verso il referendum: punti fermi, pregi e problemi della riforma costituzionale sub iudice”, in StudiumIuris n. 7-8/2016, CEDAM, pagg. 805 e ss.
[10] P. Veronesi, op. cit.
[11]A.Pace, op.cit.
[12]P. Veronesi, op.cit.
[13]P. Veronesi, op.cit.
[14] R. Romboli, “Le riforme e la funzione legislativa”, inRiv. AIC, n. 2/2015, pag. 2.
[15] P. Veronesi, op. cit.
[16] B. Caravita, op.cit.
[17] P. Veronesi, op.cit.
[18] B. Caravita, op.cit.
[19] P. Veronesi, op.cit.

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Emanuele Mascolo

Praticante avvocato abilitato al patrocinio del foro di Trani, direttore del blog di informazione giuridica Tutto il diritto online.

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