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Stalking di gruppo: la Cassazione si esprime in merito a un caso

Come quando rivolto verso un singolo, anche il reato di stalking ai danni di un intero quartiere necessita, per il suo riconoscimento, l’identificazione di tutte le vittime e i danni psicologici e sulle abitudini di vita che questo ha provocato. In assenza di tale prova, comunque, entra in gioco il reato di molestie previsto dall’art. 660 c.p.
È ciò che si evince dalla sentenza n. 3271/2018 (testo integrale) emessa dalla Corte di Cassazione, la quale si è trovata a giudicare il caso di una “stalker” che per 5 anni ha spedito a tutto il vicinato lettere minatorie e diffamatorie.
Tramite i messaggi, recapitati a intervallo settimanale, trovavano campo minacce, diffamazioni, fatti privati degli altri abitanti e, in un caso specifico, irrisioni nei confronti di una figlia affetta da sindrome di Down. Un’abitudine che aveva portato molte persone a pensare di svendere la casa pur di allontanarsi da tale persecuzione.
Il Tribunale competente aveva ritenuto giusto applicare quanto previsto dall’art. 612-bis c.p., in quanto sussistevano tutte le prove del caso: uno stato di ansia tale da alterare i rapporti all’interno dell’intera comunità. Vista la metodicità, poi, non si poteva parlare di infermità mentale da parte dell’imputata (come, invece, sosteneva la difesa).
La Cassazione, però, avverte: nel caso specifico si può prospettare il reato di stalking, ma non si può generalizzare. Serve analizzare ogni singola persona colpita dalla molestia e accertarne lo stato psichico-abitudinale, ovvero bisogna portare le prove che ogni vittima presenti i sintomi deriva15ti dal ricevimento delle lettere moleste. In assenza di una simile documentazione, il reato non è stalking ma molestia.
 

Fonte: IlSole24Ore
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