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Commento a sentenza: Corte d'Appello di Bologna, n. 68/2016

Sciaguratamente non sono stati pochi i casi affrontati nel tempo dalla giurisprudenza in materia di risarcimento del danno da emotrasfusione; casistica considerevole che ha pertanto consentito il formarsi e il consolidarsi di un orientamento giurisprudenziale piuttosto granitico con specifico riguardo al nesso di causalità e all’onere probatorio.
Con la pronuncia n. 68/2016 la Corte d’Appello di Bologna ha riformato la sentenza impugnata dall’attore danneggiato, risultato positivo per infezione da HCV (epatite C) contratta in seguito a trasfusione di albumina umana nel corso di un ricovero presso l’Ospedale di Piacenza, e ha condannato il Ministero della Salute, ritenuto l’esclusivo responsabile dell’insorgenza dell’infezione, al risarcimento del danno patito.
L’appellante, dopo aver ottenuto l’indennizzo ex L. n. 210/1992 dal Tribunale di Piacenza in funzione di Giudice del Lavoro (giudizio confermato dalla Corte d’Appello di Bologna), proponeva avanti al Tribunale di Bologna domanda per l’integrale riparazione del danno subìto. Tuttavia il Tribunale, rilevata l’assenza di prova del nesso di causalità tra la trasfusione di albumina e l’infezione da HCV, respingeva le istanze attoree.
Nella motivazione della sentenza qui in esame il Collegio ha richiamato importanti principi affermati dalla Suprema Corte e applicati dalla giurisprudenza maggioritaria in materia di risarcimento del danno da emotrasfusione infetta, con specifico riferimento proprio al profilo della sussistenza del nesso di causalità.
In particolare le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che «in tema di responsabilità extracontrattuale per danno causato da attività pericolosa da emotrasfusione, la prova del nesso causale, che grava sull’attore danneggiato, tra la specifica trasfusione e il contagio da virus HCV, ove risulti provata l’idoneità di tale condotta a provocarla, può essere fornita anche con il ricorso alle presunzioni (art. 2729 c.c.), allorché la prova non possa essere data per non avere la struttura sanitaria predisposto, o in ogni caso prodotto, la documentazione obbligatoria sulla tracciabilità del sangue trasfuso al singolo paziente, e cioè per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato» (cfr. Cass. civ., 11 gennaio 2008, n. 582).
Viene poi ribadita l’utilizzabilità di prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche fra altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, nonché la possibilità per il giudice di merito di avvalersi di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in un diverso procedimento (cfr. Cass. civ., 19 settembre 2000, n. 12422; Cass. civ., 7 luglio 2000, n. 16010; Cass. civ., 11 agosto 1999, n. 8585; Cass. civ., 20 novembre 2001, n. 16069).
Vi sono state persino diverse pronunce giurisprudenziali che sono giunte a ritenere provato il nesso di causalità tra le trasfusioni di emoderivati e l’insorgere dell’infezione con la sola produzione della certificazione rilasciata dalle Commissioni medico-ospedaliere alle quali l’attore si fosse rivolto per ottenere l’indennizzo ex L. n. 210/1992 (cfr. Cass. civ., 31 maggio 2005, n. 11609).
Pertanto nel caso di specie il Tribunale di Bologna aveva errato nel ritenere insussistente il nesso eziologico tra la trasfusione di albumina umana e l’insorgenza dell’infezione da HCV, essendo invece stato accertato, ai fini del riconoscimento del predetto indennizzo, addirittura con sentenza passata in giudicato emessa dal Tribunale di Piacenza e confermata poi dalla Corte d’Appello di Bologna.
Da ultimo, per quanto riguarda l’onere della prova ci si richiama a quella giurisprudenza di merito che ha affermato che una volta «dimostrato da parte attrice il probabile collegamento tra l’incauta e colposa somministrazione di due sacche di sangue, delle quali non è dato sapere la provenienza, con la patologia insorta subito dopo, tipica conseguenza di tale trattamento […] ed insorta proprio in corrispondenza del momento nel quale è solita manifestarsi […] a fronte di elementi ad alto valore indiziario ricadeva sui convenuti l’onere di prova di diverse e concrete eziologie della riscontrata patologia» (cfr. Corte App. Firenze, 7 novembre 2000).
Alla luce di tutto quanto detto sinora, ovvero alla luce dell’insorgere della malattia quale concretizzazione proprio di quel rischio che le normative in tema di emoderivati sono volte a impedire, e in assenza di prova contraria fornita dal convenuto, nel caso di specie la Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra l’omesso assolvimento degli obblighi di vigilanza e controllo del Ministero della Salute, le trasfusioni di albumina umana e l’insorgere dell’infezione di HCV, non essendo stata l’albumina somministrata conforme alla normativa vigente.

Dott.ssa Veronica Foroni

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Veronica Foroni

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Verona, tesi "Il consenso informato ai trattamenti sanitari nei soggetti incapaci tra esigenze di protezione della salute e tutela dell'autodeterminazione", relatore Prof. Riccardo Omodei Salè (110/110). Frequento la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, Università degli Studi di Trento e Verona. Praticante avvocato e tirocinante presso Tribunale di Verona - III sez. civile (magistrato referente dott. Massimo Vaccari). Appassionata di biodiritto e bioetica, mi interesso dei temi di diritto civile relativi a persone e famiglia (in particolare della tutela dei soggetti incapaci).

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