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Rettificazione dell’attribuzione di sesso. Quali sono i compiti del giudice?

Tribunale di Vicenza, sentenza n. 1316/2019 del 10 giugno 2019, giudice Marina Caparelli

Parte attrice si rivolge al Tribunale di Vicenza al fine di vedere riconosciuto il cambio di sesso.

Oltre al riconoscimento, però, chiede che sia il giudice a inviare la notifica del cambio ai vari organi amministrativi quali Prefettura, Questura, Motorizzazione Civile, Agenzia del Territorio, Ministero dell’Istruzione. Questo perché «la rettificazione dell’atto di stato civile a seguito della riassegnazione del sesso deve consentire una completa ridefinizione dei dati anagrafici del soggetto conseguenti a quella modificazione e non limitarsi alla sola nuova attribuzione del carattere», evitando così eventuali discriminazioni contrarie alla legge.

Il giudice, verificate le motivazioni, non ha nulla da eccepire sul cambio di sesso, ma ricorda a parte attrice che un pubblico ministero non ha la possibilità di «ordinare un facere alla P.A. al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge».


TRIBUNALE CIVILE DI VICENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Vicenza, Seconda Sezione Civile, composto dai magistrati:

Dott.ssa Marina Caparelli – Presidente
Dott.ssa Elena Sollazzo – Giudice relatore
Dott.ssa Giulia Poi – Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 8446 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2018 promossa con atto di citazione notificato in data 10.12.2018

P. S. nato a Z. il, residente a Bassano del Grappa, rappresentato e difeso dall’avvocato A. Z.

nei confronti di

PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza.

In punto: rettificazione dell’attribuzione di sesso ai sensi della legge n. 164/1982.

CONCLUSIONI DELLA PARTE ATTRICE: Come da atto di citazione con rinuncia ai termini di cui all’art. 190 c.p.c..

CONCLUSIONI DEL PUBBLICO MINISTERO: Conclude per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato in data 10.12.2018 P. S. esponeva: – che non era coniugato, né aveva figli; – che, sin dall’età infantile, aveva avvertito di possedere una identità di genere femminile, contrapposta al proprio sesso biologico e che tale discrepanza era stata fonte di gravi sofferenze e disagi; -che la presa di coscienza in ordine alla difformità delle proprie caratteristiche psichiche rispetto a quelle biologiche, l’aveva indotto ad intraprendere il percorso di cambio di genere; -che, nell’anno 2016 aveva deciso di intraprendere un percorso terapeutico di sostegno alla transizione MtF (da maschio a femmina) contattando il centro specialistico S. (S.A.) di Padova ottenendo la certificazione psicoclinica per l’accesso al trattamento ormonale sostitutivo; -che, successivamente, sotto controllo specialistico endocrinologico, da parte del dott. R. C. dell’A. Universitaria Integrata di Verona, aveva intrapreso una terapia ormonale, confermando la certezza della propria identità femminile; -che sia la psicologa che l’endocrinologo avevano confermato nei suoi confronti la diagnosi di disforia di genere; -che era determinato a proseguire la terapia ormonale ed il trattamento femminilizzante già in atto, completando il percorso di transizione da uomo a donna attraverso tutti gli interventi internistici e chirurgici indicati allo scopo; Tutto ciò premesso, chiedeva di essere autorizzato a completare il percorso di transizione da uomo a donna attraverso tutti gli interventi medici e chirurgici necessari ad adeguare i propri caratteri ed organi sessuali, primari e secondari da maschili e femminili; chiedeva altresì che il Tribunale, contestualmente, disponesse la rettifica del sesso anagrafico da maschile a femminile, attribuendole il prenome “S.”.. La domanda è meritevole di accoglimento.

Posto che la legge 164 del 1982 che della “norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, attribuisce preminente rilevanza al cosiddetto sesso psicologico e comportamentale, va accordata l’autorizzazione all’intervento medico chirurgico previsto dall’art. 3 della legge medesima, allorché il soggetto che lo richiede, pur presentando caratteristiche genetiche, anatomiche e sessuali del proprio sesso anagrafico, abbia manifestato sin dalla tenera età, una naturale tendenza a comportarsi con se stesso e nella vita di relazione, come appartenente all’altro sesso.

Ritiene infatti il Collegio che la transessualità irreversibile – intesa come situazione in cui un soggetto, pur presentando caratteristiche cromosomiche ed anatomiche di un certo sesso, avverte tuttavia di appartenere al sesso opposto – legittima la persona interessata a chiedere l’autorizzazione per l’adeguamento anatomico del proprio corpo, mediante intervento medico chirurgico, alla personalità psico-sessuale effettiva.

Tale interpretazione risulta avvalorata dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte Costituzionale.

Afferma, in tale sede, la Corte: “Nel transessuale (..) l’esigenza fondamentale da soddisfare è quella di far coincidere il soma con la psiche ed a questo effetto, di norma, è indispensabile il ricorso all’operazione chirurgica. (…) Ciò che conta (..) è che l’intervento chirurgico e la conseguente rettificazione anagrafica riescono nella grande maggioranza dei casi a ricomporre l’equilibrio tra soma e psiche”. La Corte, dopo aver affermato che il legislatore ha accolto una concezione di identità sessuale che non conferisce più esclusivo rilievo agli organi sessuali, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale, e che il transessuale, più che compiere una scelta, obbedisce al suo vero istinto, aggiunge: “…il legislatore ha preso atto di una simile situazione, nei termini prospettati dalla scienza medica, per dettare le norme idonee, quando necessario, a garantire gli accertamenti del caso ovvero a consentire l’intervento chirurgico risolutore e dare, quindi, corso alla conseguente rettificazione anagrafica del sesso”. Esaminando, quindi, la domanda di autorizzazione all’intervento chirurgico richiesto, devono essere valutati due distinti aspetti: quello delle condizioni psico-sessuali del richiedente e quello della necessità dell’intervento chirurgico ai fini dell’adeguamento dei caratteri sessuali.

Dalla documentazione dimessa in atti risulta che P. S. si è sottoposto ad approfonditi esami medici e psicologici dai quali è emersa la diagnosi di disforia di genere, la necessità che l’interessato prosegua e completi il percorso di transizione da uomo a donna, eventualmente anche attraverso i necessari interventi chirurgici, la correttezza della terapia ormonale in atto. Nel corso del giudizio è stato inoltre assunto il libero interrogatorio della parte attrice che ha insistito per l’accoglimento della domanda, dichiarandosi consapevole delle conseguenze irreversibili della transizione che chiede di essere autorizzata ad effettuare. P. S. non risulta affetto da patologie psichiatriche, né alterazioni della sfera cognitiva, ideativa ed affettiva, tali da menomare o interferire con le sue capacità critiche, di giudizio e di scelta.

Alla luce di quanto emerge dalla documentazione medica e delle dichiarazioni rese dall’interessato in sede di interrogatorio, ritiene il Collegio che debba essere autorizzato l’intervento richiesto e che sia superfluo, in considerazione della completezza delle indagini effettuate e della durata del periodo di osservazione compiuto, procedere all’espletamento di apposita CTU. Va altresì riconosciuta, come richiesto, la rettificazione dell’atto di nascita e di ogni altro atto dello stato civile, contestualmente all’autorizzazione all’intervento chirurgico.

Invero recenti pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale hanno chiarito che l’intervento chirurgico volto alla modificazione dei caratteri sessuali primari dell’individuo non è da ritenersi prodromico e dunque necessario, rispetto alla modificazione degli atti anagrafici.

In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15138/2015, ha stabilito che alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell’art. 1 legge 164 del 1982, nonché del successivo articolo 3 della medesima legge, attualmente confluito nell’art. 31 comma 4 del decreto legislativo n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile, deve ritenersi non obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale.

Ancora più recentemente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221/2015 ha così stabilito: Il ricorso alla modificazione dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica.

La prevalenza della tutela della Salute dell’individuo sulla corrispondenza tra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione -come prospettato dal rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico. Da ultimo, sempre la Corte Costituzionale, con sentenza n.180/2017, ha ribadito la non obbligatorietà dell’intervento chirurgico al fine dell’acquisizione di una nuova identità di genere, dichiarando: “non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, l. 14 aprile 1982, n. 164, censurato, per violazione degli artt. 2, 3, 32 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alla intervenuta modificazione dei caratteri sessuali della persona istante. Infatti, è possibile un’interpretazione della disposizione censurata compatibile con i valori costituzionali di libertà e dignità della persona umana. Essa è stata individuata e valorizzata sia dalla giurisprudenza di legittimità, sia da quella costituzionale, le quali hanno riconosciuto che l’acquisizione di una nuova identità di genere possa essere il risultato di un processo individuale che non postula la necessità di un intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale siano oggetto di accertamento anche tecnico in sede giudiziale. In particolare, la sentenza n. 221 del 2015 ha riconosciuto che la disposizione censurata costituisce l’approdo di un’evoluzione culturale ed ordinamentale volta al riconoscimento del diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona (art. 2 Cost. e art. 8 CEDU) (sentt. nn. 161 del 1985, 221 del 2015)”. Va pertanto accolta la domanda di rettificazione dell’atto di nascita e di ogni altro atto dello stato civile, avanzata da parte attrice, ancor prima ed a prescindere dalla effettuazione degli interventi chirurgici, che pure P. S. ha dichiarato di voler affrontare in un prossimo futuro.

Anche la correlata domanda di variazione del prenome deve essere accolta.

Pur in assenza di una apposita previsione normativa nel corpus della legge che disciplina la rettificazione dell’attribuzione di sesso, deve ritenersi che ciò sia ammissibile in quanto normale conseguenza della nuova assegnazione, attesa l’importanza che il nome ha nella individuazione e qualificazione del soggetto come appartenente all’uno piuttosto che all’altro sesso, e che ciò possa operarsi con la sentenza di rettificazione.

Ciò è imposto, oltre che da ragioni logiche, anche da ragioni di carattere sistematico, ossia di non far permanere nell’unico atto di stato civile elementi che possano dar luogo ad un’equivoca e contraddittoria interpretazione del carattere sessuale della persona, come appunto un nome sicuramente maschile (nel nostro caso S.) in soggetto femminile.

La rettificazione dell’atto di stato civile a seguito della riassegnazione del sesso deve consentire una completa ridefinizione dei dati anagrafici del soggetto conseguenti a quella modificazione e non limitarsi alla sola nuova attribuzione del carattere, pena, oltre alla già ricordata contraddittorietà dell’atto, una valenza di possibilità discriminatoria o denigratoria del soggetto, sicuramente contraria alla legge del 1982. Un argomento letterale di conferma di tale interpretazione è offerto dalla menzione, nell’art. 5 della legge, al fatto che le attestazioni di stato civile debbono recare la sola indicazione del nuovo sesso e nome, con ciò facendo chiaramente intendere della possibilità di variazione di questo legata alla nuova attribuzione senza che si debba chiedere l’avvio di nuove procedure sicché, data l’assenza di indicazioni di potestà spettanti ad altri organi, tutti i nuovi dati debbono essere disposti dal Giudice che procede. In definitiva, deve disporsi che a P. S. venga attribuito non solo il nuovo sesso, ma anche il nuovo prenome, dallo stesso indicato, di S., con le conseguenti variazioni.

Per contro va dichiarata inammissibile la domanda volta all’imposizione di un ordine, da parte del Giudice, ai vari organi amministrativi, quali Prefettura, Questura, Motorizzazione Civile, Agenzia del Territorio, Ministero dell’Istruzione, non solo perché generica, ma anche perché non è consentito al giudice ordinare un facere alla P.A. al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.

Sarà quindi onere dell’interessato rivolgersi a ciascuno degli enti con i quali abbia un rapporto facendo valere la situazione anagrafica determinata dalla presente sentenza onde ottenere l’emanazione di nuovi atti amministrativi, alla luce del principio esplicitato dall’art. 31 comma 6 decreto legislativo 150/2011, che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, non è retroattiva.

Nulla va disposto riguardo alle spese di lite, mancando ogni ragione di soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando, così provvede: a) autorizza P. S. nato a Z. il, ad effettuare gli interventi medicochirurgici di adeguamento dei propri caratteri sessuali da uomo a donna; b) attribuisce a P. S., nato a Z. il, il sesso femminile, nonché il prenome di “S.” e, per l’effetto, ordina all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Zevio di rettificare l’atto di nascita di parte attrice, nel senso che, laddove è indicato il sesso maschile sia letto e inteso “sesso femminile ” E che laddove è indicato il nome “S.”. sia letto e inteso “S.”; c) dispone che in ogni atto dello stato civile alla parte attrice sia assegnato il prenome “S.”; d) dichiara inammissibile la domanda volta ad ottenere ordini del Giudice rivolti ad altre pubbliche amministrazioni; e) nulla per le spese.

Vicenza, così deciso in Camera di Consiglio del 6.6.2019.

Il Presidente
Dott.ssa Marina Caparelli

Il Giudice Estensore
Dott.ssa Elena Sollazzo

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