Penale

Imputabilità e neuroscienze

Le neuroscienze si stanno progressivamente inserendo come strumento atto a valutare l’impunibilit? dell’imputato.

Ogni giorno la cronaca riporta notizie di omicidi in famiglia, accompagnati, spesso, dal suicidio del responsabile, casi di stalking, di fatti, commessi attraverso modalit?, che fanno pensare alla follia, alla instabilit? mentale.

Immediatamente avvertiamo lo sgomento, la perdita dell?equilibrio, fino ad allora percepito, pensando che il ?pericolo? pu? coinvolgere chiunque.

Tutto conduce alla insicurezza della attuale societ? ed alla necessit? di poter individuare dei rimedi per prevenire simili fatti, a volte tanto raccapriccianti, come pu? essere un infanticidio.

La mente umana ? capace di frenare gli istinti, che possono portare a commettere atti terribili e senza ritorno, ma, a volte, il meccanismo sembra incepparsi.

Inoltre, se concentriamo l?attenzione sugli ultimi avvenimenti, osserviamo una ripetitivit? delle condotte, sempre attribuite pubblicamente alla crisi economica o alla depressione, come per cercare una motivazione logica, che possa distoglierci dallo spavento di pensare alla nostra mente, che improvvisamente pu? avere quell?attimo, in cui perde il controllo, provocando eventi terribili. A volte sembra che la ripetitivit? di alcune condotte, sia determinata da un effetto di imitazione di determinati comportamenti, dettati da un tentativo drammatico di uscire da situazioni, ritenute senza via di uscita.

Questi comportamenti, se non sono dettati da malattie mentali, sono spesso ricondotti a gravi disturbi della personalit?, e valutati, in sede processuale, per stabilire la imputabilit? del soggetto, autore della condotta.

Nel corso degli ultimi anni si ? fatto uso, sempre pi? frequentemente, degli studi nel settore delle neuroscienze e della psichiatria, che, attraverso le consulenze tecniche, hanno dato un supporto ai giudici per valutare la punibilit? dell?imputato e la graduazione della pena, nel caso di scemata capacit? di intendere e di volere dello stesso.

In breve, le neuroscienze studiano il cervello e determinate aree dello stesso, soprattutto quelle che dominano la emotivit? e l?aggressivit?, dando una spiegazione scientifica ai comportamenti, attraverso un quadro tridimensionale del cervello, il c.d. brain imaging, attraverso moderni mezzi di ricerca. Attraverso questi studi si pu? stabilire la causa di un comportamento, che ha portato ad una azione abnorme, chi, pur essendo normale e non affetto da malattie mentali, ha delle anomalie in un determinato settore del cervello.

Nel campo forense ? importante stabilire l?esistenza della capacit? di agire, come idoneit? a provvedere ai propri interessi e di prendere delle decisioni. Quest?ultima ? la capacit? di intendere e di volere.

Questo concetto ? alla base del nostro processo penale, per il quale ?Nessuno pu? essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile? art..89 c.p. Il codice d?, poi, la definizione di imputabilit?; ?E?imputabile chi ha la capacit? di intendere e di volere?. La capacit? di capire quanto si sta facendo e di volerlo.

Nel campo forense ? importante stabilire quando il fatto ? compiuto da una persona non in grado di intendere e di volere, per una malattia, di cui soffriva, in precedenza, o per impulsi, nati al momento e di tale gravit? da diminuire o escludere tale capacit?.

L?esame della imputabilit? della persona, che ha commesso il reato, ? necessaria per infliggere la giusta pena e per applicare una misura di sicurezza, che possa prevenire altri episodi, che possono costituire un pericolo futuro per la societ?.

Per stabilire la pericolosit? sociale di una persona, si deve ricorrere anche alla psichiatria e alle neuroscienze.

Le neuroscienze, per questi motivi, da anni si sono progressivamente inserite nel processo penale, prima con scetticismo e poi sempre pi? apprezzate, anche dalla Suprema Corte.

Importante ? la sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni unite, 25/1/2005, n. 9163, caso Raso, nella quale si afferma l?importanza, per l?imputabilit?, dei ?gravi disturbi della personalit??, da accertare con consulenza tecnica.

Questa sentenza, che pu? essere indicata come una pronuncia pilota, alla quale fanno riferimento le sentenze successive sull?argomento, dice che ?anche i disturbi della personalit?, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermit??, ma debbono essere di consistenza, intensit? e gravit? tali da incidere concretamente sulla capacit? di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale?.

Nel nostro codice penale, infatti, ? prevista la possibilit? di avere una diminuzione della pena, nel caso di vizio parziale di mente, art. 88 c.p., nel caso di colui che, al momento del fatto, era, per infermit?, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacit? di intendere e di volere. A tale previsione, si contrappone la mancanza di esclusione della punibilit?, se il fatto ? commesso da soggetto motivato da stati di emotivi o passionali.

In questo contesto normativo, la sentenza delle Sezioni Unite, sopra menzionata, ? stata innovativa, principalmente per la considerazione avuta per i risultati delle consulenze tecniche e per avere considerato i ?gravi disturbi della personalit??, che non sono malattie mentali, come causa della diminuzione della capacit? di intendere e di volere, aprendo la strada alle neuroscienze nel processo.

Naturalmente, i disturbi della personalit? sono stati considerati motivi di diminuzione della capacit? di intendere e di volere, anche se non hanno base organica, ma, per essere rilevanti, ai fini della valutazione del giudice, debbono essere la causa della condotta criminosa ed essere di una notevole gravit?, altrimenti non potrebbero escludere la imputabilit?.

Pertanto, il giudice, che si trova a decidere un caso, nel quale viene posto in evidenza un reato, commesso da una persona, che appare presentare una causa di diminuzione, o esclusione, della capacit? di intendere e di volere, non pu? non tenere conto dei risultati di eventuali consulenze, che vengono ad assumere la veste di prove atipiche. Naturalmente, il giudice deve basare il suo convincimento ed esaminare tutte le prove raccolte nel processo, ma non deve escludere l?esame tecnico sulla imputabilit?, per essere certo di arrivare ad un giudizio, oltre ogni ragionevole dubbio, sulla responsabilit? dell?imputato.

Il nostro ordinamento giuridico prevede delle misure di sicurezza, per chi ha avuto una condanna, diminuita dalla esistenza di un vizio parziale di mente, o un proscioglimento, a seguito della esistenza di una malattia mentale o alla completa inesistenza della capacit? di intendere e di volere, al momento del fatto. Queste sono, nel primo caso, un periodo da trascorrere in casa di cura e di custodia, nel secondo, presso l?ospedale psichiatrico giudiziario, senza prevedere misure per colui che ? affetto da gravi disturbi della personalit? o, che, non ? malato, ma ha un disturbo curabile. Il giudice non ha la possibilit? di infliggere l?obbligo di una cura ad un soggetto, che, non ha una malattia mentale, ma che, seguendo una terapia, potrebbe condurre una vita normale.

Forse, con l?ingresso delle neuroscienze nel nostro processo e nella accettazione dei risultati degli studi della materia, che alcuni giudici ritengono ancora in fase sperimentale, si giunger? ad una modifica della normativa e alla possibilit? di prevenire ulteriori eventi indesiderati, colmando lacune, oggi esistenti.

 
 

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Avv. Nadia Boni

Avv. Nadia Boni

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