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Apertura Anno Giudiziario 2017. Le nuove sfide della dimensione globale.

Secondo il Ministro Orlando tre sono le “grandi ipoteche” che gravano sulla Giustizia: la prima è rappresentata dall’inadeguatezza delle singole giurisdizioni nel confronto con nuove questioni di natura globale, la seconda dalla difficoltà nell’affrontare la sfida organizzativa che la nuova dimensione impone, e la terza dal rischio di chiusura delle singole giurisdizioni. La tendenza ai nazionalismi, che sta caratterizzando questo tratto di storia, cela per il Ministro un doppio inganno: una promessa di sicurezza che non fa i conti con la nuova dimensione sovranazionale dei pericoli che attentano alla nostra sicurezza e, il rischio che il ritirarsi da uno spazio di azione sovranazionale, lasci il passo all’estendersi di una zona franca ove potentati economici e finanziari possano agire oltre la dimensione fiscale e giuridica nazionale. Ancora molti rimangono i passi da fare verso la creazione di una governance politica globale.
 
Milano, Palazzo di Giustizia, 28 gennaio 2016
Signor Presidente della Corte di Appello, Signor Procuratore Generale, Signor rappresentante del Consiglio Superiore della Magistratura, Signor Sindaco di Milano, Signor Presidente della Regione Lombardia, Presidente Monti, Autorità tutte,
Chi interviene a nome del governo nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario viene spesso tacciato di eccessivo ottimismo. Non è questo un rischio che corro, perché vorrei partire dalle preoccupazioni che nutro alla prospettiva che sta di fronte alla giurisdizione e a tre grandi ipoteche che gravano su di essa, tre pericoli, che non sono frutto di complotti, genere letterario assai in voga in questa fase storica, ma del dispiegarsi delle forze della storia e conseguenza di errori umani.
Il primo è quello di una costante sottovalutazione dell’impatto che ha la dimensione globale sulla giurisdizione, sulle giurisdizioni. Il secondo – se ne è parlato negli interventi che mi hanno preceduto – è la difficoltà ad affrontare la sfida organizzativa. Il terzo è quello del rischio di una chiusura delle singole componenti della giurisdizione e la difficoltà a trovare la strada del dialogo. Se svolgo qui queste considerazioni è perché mi trovo in una realtà, in una città che con la globalizzazione e con l’internazionalizzazione dell’economia ha saputo fare i conti senza chiudersi.
Negli ultimi anni, distratti da questioni che parevano forse più impellenti solo perché legate a una annosa conflittualità, tutta di carattere endogeno, in molti non ci siamo accorti che i maggiori pericoli per la giurisdizione, per i diritti del cittadino e per il sistema della giustizia venivano dalla dimensione sovranazionale assunta ormai dagli scambi economici, dall’estensione globale della rete dell’informazione, dall’internazionalizzazione degli stessi fenomeni criminosi.
Le dichiarazioni universali in materia di diritti fondamentali che hanno comportato, nel secolo scorso, il più significativo progresso in termini di civiltà, sono rimaste senza pilastri istituzionali sufficientemente robusti dal reggere l’impatto di un simile cambiamento.
L’incapacità di far nascere una governance politica globale si paga oggi, con il risveglio di un nazionalismo muscolare, quando non apertamente aggressivo. La storia purtroppo insegna: quando si manca di compiere un passo avanti non si rimane fermi, si scivola indietro.
E questa volta il nazionalismo si presenta con un doppio inganno: una promessa di sicurezza che non potrà realizzare, perché i principali pericoli che attentano alla nostra sicurezza derivano da una situazione globale; e il rischio di estendere una zona franca nella quale si possono collocare, per loro natura e per loro struttura, potentati economici e finanziari che sfuggono alla dimensione nazionale, sia dal punto di vista della fiscalità sia dal punto di vista della giurisdizione.
Noi abbiamo messo in campo, in questi anni, un impegno accanito nella cooperazione internazionale e per l’irrobustimento del quadro europeo, nella individuazione di strumenti efficaci a fronteggiare i flussi migratori e per contrastare i fenomeni del terrorismo e della radicalizzazione violenta.
Nell’ambito del dibattito europeo sulla Direttiva antiterrorismo il Ministero si è battuto per un testo ambizioso, che preveda misure davvero efficaci per il contrasto alle nuove minacce emergenti. Grazie anche al nostro impulso, la Direttiva vedrà a breve la luce. Serve però una procura europea con un livello alto di indipendenza, che abbia competenze oggi in materia di frodi, domani anche in materia di terrorismo e criminalità organizzata. Per questo, non siamo soddisfatti della proposta venuta dalla Presidenza di turno slovacca e insistiamo perché la Procura non venga svuotata di senso e di efficacia.
Il nostro Paese ha adottato norme volte a semplificare le procedure di scambio di informazioni ed intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea. Ha dato recente attuazione alla normativa sulla condivisione delle informazioni presenti nei casellari giudiziari attraverso il sistema ECRIS. Ha realizzato la Banca dati nazionale del DNA, fondamentale per le sue straordinarie potenzialità investigative, e l’attitudine a favorire la cooperazione investigativa internazionale. Sono state condivise riflessioni europee anche in materia di radicalizzazione, di lotta ai discorsi d’odio on line, di prova elettronica, di contrasto del cybercrime.
Segnalo a questo proposito l’adozione del Codice di condotta sull’illecito incitamento all’odio online, con il quale le aziende informatiche si sono impegnate ad affiancare Commissione europea e Stati membri nel garantire che le piattaforme online offrano sempre meno opportunità di diffusione virale di forme illegali di incitamento all’odio. Tutto questo è uno sforzo che va controcorrente, perché la rinazionalizzazione di molte politiche in ambito giudiziario apre spazi e margini di manovra a soggetti che sono in grado di agire sulla testa di risultati nazionali. E questo non può che essere un elemento di rammarico. Ma il rammarico più grande è come questo tema sia pressocché assente nel nostro dibattito pubblico.
Un altro motivo di affanno della giustizia è rappresentato dallo squilibrio fra domanda e offerta di giustizia. In parte esso è determinato dall’elevata litigiosità del nostro Paese. Si tratta di un dato storico. Ma in parte è dovuto anche alla grave crisi economica, che provoca – in Italia come altrove – la crescita di liti per inadempienze, morosità, sofferenze bancarie. In altra parte ancora, è dovuto a un infragilimento dello spirito pubblico, che si riflette nella perdita di rappresentatività dei corpi intermedi: partiti, sindacati, associazioni professionali, la stessa famiglia. Ne risente la stessa produzione legislativa, che perde di efficacia, di effettività e di qualità. E si estende il ricorso al diritto penale, con il rischio concreto che si risolva, sempre più spesso, in un esercizio puramente declamatorio.
Tutte queste criticità ovviamente si accentuano, in carenza di risorse. Per questo, tengo a evidenziare con forza il volume della risposta che siamo riusciti sin qui a dare.
Siamo partiti da una situazione critica di scoperture di organico, che metteva in serio pericolo la tenuta stessa del sistema. Novemila unità, l’ultimo accesso nelle cancellerie alla fine degli anni ’90. Mi chiedo quale altro soggetto economico-finanziario poteva reggere a una situazione di questa natura.
Oggi la situazione ha invertito la tendenza: 1.820 sono le immissioni previste entro marzo, ma 1.600 si sono già realizzate ad oggi; e 3.300 sono quelle di assunzione ordinaria che si aggiungeranno nel giro di un anno. Il totale supera le 5.100 unità. Questo comporterà finalmente l’ingresso nei ranghi dell’amministrazione di risorse giovani.
Le convenzioni già stipulate con le Regioni permetteranno l’impiego di altre 350 unità e se ne aggiungeranno altre ancora nelle prossime settimane. A questo proposito voglio ringraziare il presidente della Regione Lombardia che ha dato la sua disponibilità. Ulteriori convenzioni in ambito locale sono in corso per varie forme di tirocinio. 4.000 è invece il numero di stagisti e tirocinanti già operanti negli uffici giudiziari.
Credo sia possibile riconoscere in questi numeri una decisa e significativa inversione di marcia rispetto al passato, un’attenzione al tema delle risorse umane che mancava da anni e che va – diciamolo – oltre la buona volontà. In genere si insiste molto sul tema della scopertura degli organici in magistratura. Noi in questi 3 anni abbiamo immesso 1.100 nuovi magistrati, mantenendo una cadenza regolare nell’immissione perché sappiamo che immissioni di carattere straordinario non tengono conto delle potenzialità e delle capacità reali del sistema formativo di produrre persone che siano in grado di accedere in magistratura.
Ma – credo che questa sia un’altra considerazione da fare – abbiamo per la prima volta rivisto le piante organiche della magistratura. Ora, non avremo soddisfatto tutti, non tutti saranno contenti, ma anche qui mi chiedo – ed è una domanda che mi sono fatto spesso da ministro della giustizia – quale altra struttura avrebbe potuto reggere a una mancata rivisitazione delle piante organiche dal dopoguerra ad oggi? Questa è una domanda alla quale davvero non ho saputo dare risposta
Guardando all’arretrato civile e penale, l’anno trascorso ha visto il rafforzamento delle positive dinamiche già avviate. A fine dicembre 2016, il totale delle pendenze è sceso a circa 3.800.000 affari trattati, superando la già ottimistica previsione formulata lo scorso anno. Partivamo da 5,2 milioni affari trattati nel 2013.
Significativo il dato sui procedimenti in tema di equa riparazione presso le Corti di Appello che vede un calo del 25,4% rispetto all’anno precedente. Si stabilizzano i tempi di durata media dei procedimenti civili, attestati nel 2016 in 375 giorni. In base al monitoraggio effettuato dal Ministero della giustizia, le cause civili arretrate in tribunale sono 450mila, che diventano 680mila se si considerano le ultra-biennali in appello e le ultra-annuali in Cassazione. Erano oltre 1 milione nel 2013.
Gli effetti positivi di questa dinamica cominciano a riflettersi sul debito Pinto, sceso quest’anno di 100 milioni di euro. Ho visto ricostruzioni fantasiose sulle ragioni di questa riduzione del carico. La crisi: ma la crisi sta facendo crescere il contenzioso in tutto il resto d’Europa. L’aumento del contributo unificato: ma il contributo unificato negli anni in cui è stato aumentato ha visto aumentare anche il numero degli affari trattati e da 3 anni il contributo unificato non è stato modificato. La ragione di questa diminuzione è presto detta: la produttività dei magistrati italiani, la capacità di utilizzare meglio le ADR nel nostro sistema e le norme che disincentivano il mito del processo come forma di dilazione dei pagamenti.
Questi risultati non sono risultati del governo, sono risultati di tutta la giurisdizione e di tutte le donne e gli uomini che operano nella giurisdizione.
Il distretto di Milano ha giocato un ruolo significativo nell’economia dei risultati raggiunti: nell’ultimo triennio tutti gli Uffici del distretto hanno registrato un andamento positivo, con punte di riduzione dell’arretrato del 23,5% per la Corte di appello e di oltre il 20% per i Tribunali di Milano, Varese, e Pavia. Questi risultati sono stati conseguiti nonostante scoperture di organico della magistratura e del personale amministrativo: è evidente che vi è stato uno sforzo notevole. Ne va dato atto, senza mancare di adottare correttivi.
L’impegno è anzi di convogliare verso questo distretto una parte significativa dei nuovi reclutamenti di magistrati e di personale amministrativo, riportando le scoperture nella media nazionale, già sensibilmente migliorata dagli interventi descritti.
Quanto alla ridistribuzione delle piante organiche di primo grado, attuata recentemente dopo un ritardo di decenni, essa richiede una fisiologica azione di monitoraggio. Abbiamo voluto costruire un sistema che consenta la revisione ulteriore delle piante organiche e non dia una fotografia che rimanga nei secoli dei secoli. Perché questo è fondamentale. Noi non sappiamo fra due, tre o quattro anni come si ridistribuiranno le forze criminali nel Paese, non sappiamo come si ridistribuiranno le crisi territoriali che generano contenziosi. E allora è giusto avere un sistema flessibile e che sia in grado di tenere conto di questi cambiamenti.
A questo fine sono importanti le valutazioni degli uffici giudiziari e della classe forense, che credo debba essere sempre più coinvolta nella governance organizzativa della giurisdizione, a partire da un rafforzamento del suo ruolo all’interno dei soggetti che governano la giurisdizione, anche a livello territoriale.
Il controllo delle scelte compiute permetterà di introdurre i correttivi che si dovessero rendere necessari, con riferimento anche al settore lavoro e previdenza, dove si terrà conto dell’eventuale aumento dei procedimenti delle sezioni specializzate in materia di impresa e protezione internazionale.
Quest’ultimo tema merita una parola specifica. Oltre al piano straordinario di applicazioni extradistrettuali di magistrati presso le sedi più gravate, è in corso di predisposizione un progetto normativo che prevede l’istituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea; è previsto che Milano sia sede di una delle dodici sezioni specializzate.
I risultati positivi nello smaltimento dell’arretrato sono stati raggiunti anche grazie al lavoro finalizzato ad ottenere un processo civile telematico, oggi operativo in tutte le fasi.
Anche nel settore dell’esecuzione forzata si sono registrate innovazioni significative. Con il decreto “Banche” sono state adottate nuove misure per lo smobilizzo dei crediti a favore delle imprese e per l’efficienza dell’attività di recupero dei crediti, anche mediante l’ulteriore semplificazione dell’espropriazione forzata. Nella medesima direzione si pone l’avvio di un portale nazionale delle vendite, un marketplace unico per la vendita dei beni nelle procedure concorsuali sul territorio nazionale. La prossima tappa si realizzerà entro giugno, con l’istituzione del Registro dei crediti, grazie alla collaborazione della Banca d’Italia e del Ministero dell’economia e finanze. Con questo strumento si potranno conoscere in tempo reale le effettive condizioni di realizzabilità dei crediti. Sarà più semplice la vita del cittadino. E aumenterà, grazie all’informazione sulle procedure esecutive, la trasparenza delle vendite giudiziarie, e con essa anche la tutela dei creditori e dei debitori in un settore nel quale non sono mancate nel corso degli anni grandi opacità.
Nel settore penale, il numero complessivo dei procedimenti pendenti è calato del 7%, attestandosi a 3.229.284. Nell’anno passato il distretto di Milano ha registrato un andamento positivo anche nella definizione dei giudizi penali, con una riduzione delle pendenze di oltre il 32% per la Corte di appello, e di oltre il 25% per Tribunali come quello di Milano e di Como.
Si è completata la diffusione del Sistema Informativo della Cognizione Penale (SICP) presso tutti gli Uffici Giudiziari di primo e secondo grado. In questo modo viene assicurata l’adozione di una piattaforma tecnologica unitaria che consente una più rapida ed efficiente evoluzione dei sistemi verso il processo penale telematico e la costruzione del datawarehouse penale. Nuove regole sono state impartite per la corretta ed uniforme gestione dei registri.
La legge di stabilità 2017 ha istituito un apposito Fondo per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, con stanziamento di un miliardo novecento milioni di euro per una serie di settori tra cui l’informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria. Nei prossimi anni il Fondo sarà ancora più cospicuo, con oltre tre miliardi di euro per il 2018 e tre miliardi e mezzo per il 2019.
Il rapporto “Doing Business” della Banca Mondiale attesta i miglioramenti del nostro sistema dovuti in particolare al percorso di informatizzazione della giustizia. Ho visto scrivere in questi giorni che il nostro Paese si attesta oltre il 190° posto in tale classifica; se nei prossimi tre anni facessimo gli stessi progressi che abbiamo fatto negli ultimi tre, arriveremmo al livello dei più importanti paesi europei.
Il progresso dal lato degli strumenti informatici, possibile solo grazie alla convinta adesione di tutti gli operatori della giustizia, va tuttavia accompagnato con innovazioni normative che ci consegnino un processo più celere senza perdere nulla sul terreno delle garanzie per le parti in causa. Al fine di assicurare maggiore speditezza e linearità ai meccanismi processuali ricordo che è in corso di esame al Senato il disegno di legge di riforma del processo civile.
In un’ottica di ragionevole durata del processo, è stata presentata la relazione conclusiva del gruppo di lavoro sulla sinteticità degli atti processuali, contenente anche proposte di modifica di norme processuali.
Il Parlamento è inoltre attualmente impegnato con il disegno di legge delega sulla crisi d’impresa, che contiene misure di semplificazione ed efficientamento delle procedure concorsuali, all’interno di un’evoluta riforma della gestione delle crisi d’impresa. E devo dire, proprio ieri, al Consiglio europeo abbiamo potuto verificare come sia perfettamente in linea con il nuovo regolamento.
È tempo che la procedura d’insolvenza non resti semplicemente una misura punitiva per l’impresa interessata, ma si apra ad essere il luogo dove fornire alla stessa impresa, quando possibile, una “seconda opportunità”.
In tema di organizzazione, segnalo che il nuovo modello di gestione delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari si è rivelato in grado di assicurare maggiore omogeneità e trasparenza. I costi si sono ridotti di 80 milioni di euro: le risorse così risparmiate saranno interamente spese nella manutenzione e nell’adeguamento delle strutture giudiziarie.
Al personale amministrativo voglio esprimere un ringraziamento non di circostanza, per la dedizione prestata in una fase fino a qualche anno fa segnata da una decrescita costante su tutto il territorio nazionale, per via dei pensionamenti non pareggiati dal turn over. Noi – come dicevo – abbiamo intrapreso la riqualificazione di quasi 2000 tra cancellieri e ufficiali giudiziari, attesa da 20 anni quest’anno. Si è trattato solo di un primo passo. Un secondo passo riguarderà già quest’anno oltre 8000 persone, a cui dovrà accompagnarsi la revisione dei profili professionali e dei relativi compensi, che sono pronto a definire in tempi brevi con i sindacati nell’ambito della contrattazione già aperta.
Ringrazio anche i capi uffici, ai quali è affidata la guida delle Conferenze permanenti, vi sono ritardi e alcune disfunzioni, come in ogni mutamento di carattere organizzativo in un contesto complesso, ma il giudizio sul cambiamento in corso, credo, sia senz’altro positivo. Il Ministero, nelle prossime settimane, assegnerà nuovi funzionari contabili agli uffici distrettuali per sostenerne i gravosi compiti che sono stati assegnati.
Nel ripercorrere i termini della sfida, che ha – come ho cercato di indicare – sia aspetti nazionali che sovranazionali, devo però segnalare un’ulteriore insidia, che i singoli soggetti della giurisdizione reagiscano alle difficoltà ripiegando in una dimensione corporativa, tentando sì di salvaguardare le proprie ragioni ma attraverso la delegittimazione di quelle degli altri, e la finale delegittimazione di tutto il sistema.
Nel corso di questi anni abbiamo evitato il rischio attraverso l’ostinata ricerca del dialogo e del confronto. Dalla magistratura, nelle sedi istituzionali come in quelle associative, sono venuti importanti contributi di carattere progettuale, di cui abbiamo voluto far tesoro.
Dall’avvocatura è venuta una grande disponibilità a svolgere un ruolo di prevenzione e soluzione dei conflitti.
Noi abbiamo completato l’attuazione della legge professionale forense con l’approvazione dei Regolamenti che disciplinano l’intera attività professionale. L’ultimo schema di decreto, sul sistema di elezione dei Consigli dell’Ordine, è stato trasmesso il 29 dicembre scorso al Consiglio Nazionale Forense.
È poi in corso l’attuazione della legge delega per la riforma della magistratura onoraria. Ed è stata presentata alla presidenza del Consiglio la proposta avanzata dal Ministero in materia di equo compenso per gli avvocati.
Ma è in materia di risoluzione delle controversie in via alternativa, che vedo – come dicevo – un’importante valorizzazione del ruolo dell’avvocatura. In quest’ultimo anno le mediazioni civili sono state 196.247 (+10% rispetto al 2015); se si considera l’insieme totale delle forme di ADR, il dato sale a circa 366.000 soltanto 2016. A questo riguardo sono sicuro, conoscendo l’impegno dell’avvocatura milanese, che utili riflessioni verranno dall’intervento del Presidente Danovi.
L’anno 2016 ha visto anche la conclusione dei lavori degli “Stati Generali dell’esecuzione penale”, che abbiamo promosso per definire una visione della esecuzione penale sempre più connotata dal rispetto della dignità umana e dagli obiettivi di concreto reinserimento del condannato nel contesto sociale.
Alla data del 31 dicembre 2016, la popolazione carceraria conta ancora 54.653 presenze, con una riduzione, nell’ultimo triennio, di ottomila unità. Un altro dato mi pare però importante segnalare, il nuovo equilibrio tra presenze carcerarie ed esecuzione penale esterna. Quando si parla di svuotacarceri, persone che vengono liberate senza alcun controllo, si tralascia di considerare il fatto che nel momento più alto del sovraffollamento carcerario, le persone sottoposte complessivamente all’esecuzione penale erano meno di oggi: attualmente di fronte a un detenuto, c’è una persona sottoposta a esecuzione penale esterna; nel 2011, a fronte di quattro detenuti, c’era soltanto una persona sottoposta a esecuzione penale esterna.
La dimensione numerica dell’uno e dell’altro sistema è infatti quasi pari, considerando che ai detenuti in regime di esecuzione esterna occorre aggiungere il numero delle persone chiamate allo svolgimento di lavori di pubblica utilità, per un totale di 42.917 persone sottoposte a misure alternative alla detenzione.
Ulteriori spazi per importanti innovazioni si aprono con la auspicata approvazione del disegno di legge contenente la delega al Governo per la riforma dell’ordinamento penitenziario.
In prospettiva va letta la decisione di assegnare per il triennio all’esecuzione penale esterna rispettivamente 4, 7 ed 11 milioni per anno, a partire dal 2017, fondi destinati a rafforzare l’operatività degli uffici con personale più specializzato.
L’obiettivo è imprimere un segno di cambiamento nella cultura della pena, puntando ad ampliare i percorsi che consentono il più rapido ritorno del condannato nella società, rafforzando la dimensione riparativa della giustizia penale. Non rassegniamoci all’idea che il nostro Paese debba collocarsi fra quelli con il tasso più alto di recidiva.
A questo proposito, non è affatto un caso se i progetti più innovativi, in grado di ripensare la sicurezza in una chiave diversa dalla segregazione, si siano sviluppati proprio a Milano: in una città aperta ed europea, magnete di grandi flussi umani e culturali, non solo economici e finanziari, chiamata dunque a misurare la sua grande tradizione civica con le sfide di una modernità globale sempre più tumultuosa.
In questo senso mi hanno particolarmente colpito le parole del vertice dell’Associazione nazionale magistrati, quando in un convegno recente ha messo in guardia ed ha invitato a distinguere la politica tra interventi di sicurezza e interventi di rassicurazione. In questo senso credo che noi dobbiamo riflettere seriamente su come si realizza la sicurezza: un carcere che produce la recidiva, non garantisce la sicurezza, si limita semplicemente a costituire una scuola di formazione per la criminalità a spese dei contribuenti.
E credo che da questo punto di vista la riflessione che dobbiamo fare è su come riusciamo a individualizzare il trattamento del detenuto, un salto di qualità assolutamente essenziale anche per prevenire i processi di radicalizzazione all’interno del carcere. Un carcere che realizza i nuovi trattamenti a condizioni di carattere criminale, psicologico e sociale diversa, finisce per produrre una omologazione al peggio, che attenta alla sicurezza di tutti i cittadini.
Signor Presidente, mi è capitato più volte in questi anni di sottolineare come all’ingresso sempre più largo di donne nei ranghi della magistratura non abbia corrisposto una loro presenza significativa nei ruoli direttivi.
Non fu facile affermare in Costituzione il principio, che ormai appartiene alla coscienza democratica di tutti, per cui l’accesso delle donne non deve essere in alcun modo limitato.
Ripercorrere oggi i termini di quella discussione può strapparci un sorriso, per quanto ci appare distante. Eppure, è ancora necessario impegnarsi per ampliare il numero delle donne in posizioni apicali: nella giurisdizione, nel Consiglio Superiore della Magistratura così come ai vertici dei più importanti uffici giudiziari, a partire dalla magistratura requirente, che è quella che ancora sconta questo ritardo. Per questo, sono davvero felice di tenere questo mio intervento dinanzi al primo Presidente donna di questa Corte, in una sede – aggiungo – tra le prime anche a porre l’accento sui problemi dell’avvocatura femminile. Accento che abbiamo colto, istituendo un tavolo di lavoro al Ministero, da cui ci attendiamo risposte su temi come la maternità, i tempi e i luoghi di lavoro, che incidono sullo svolgimento della professione da parte delle donne.
La materia dei diritti è, in verità, una materia fragile, che richiede un’attenzione costante, sul piano giuridico come su quello politico e sociale. Per questo, rivendico con orgoglio all’azione del Governo e del Ministero che ho l’onore di guidare, i passi compiuti nella promozione di diritti fondamentali: la legge sulle unioni civili, la tutela delle persone deboli con le norme sul “dopo di noi”, la previsione di un indennizzo per le vittime dei reati violenti, una nuova strategia di contrasto del caporalato, la disciplina degli ecoreati, le norme sulla violenza di genere e, ad un giorno di distanza dalla Giornata della memoria, l’introduzione del reato di negazionismo.
Qui a Milano, nella città di Cesare Beccaria, voglio in particolare ribadire l’impegno per l’introduzione del reato di tortura. «Mi pare impossibile – scriveva Pietro Verri nelle sue Osservazioni sulla tortura – che l’usanza di tormentare privatamente nel carcere per avere la verità possa reggere per lungo tempo ancora». Aveva ragione: non ha retto. Però nessuna conquista è definitiva, come dimostrano le cronache di questi giorni e il fatto che importanti democrazie mettano in conto la possibilità di riutilizzare questo strumento. E noi non possiamo perdere altro tempo nell’affermare un principio che tra l’altro ci viene richiesto anche in sede europea e internazionale.
Sarebbe forse un po’ più facile, se l’opinione pubblica fosse meno disattenta. Resto infatti stupito di quanta poca eco abbia avuto ieri la notizia che per la prima volta l’Italia non è più tra i primi cinque Paesi per numero di casi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ho potuto leggerla su un solo quotidiano nazionale. Eppure si tratta di un deciso «cambio di passo», come spiegava l’articolista e il Presidente della Corte stessa, che finalmente torna ad allinearci ai paesi di più salda tradizione giuridica.
In realtà, proprio città come Milano raccontano, ben più di altri luoghi, quale grande patrimonio di diritti la civiltà giuridica europea porta con sé. Grandi fratture storiche e ideali che attraversano la modernità – dall’umanesimo al giusnaturalismo, dalla rivoluzione scientifica all’illuminismo – sono leggibili nella sua storia, nella sua cultura, nella sua vita civile.
Sono sicuro che questa consapevolezza vive ancora oggi fortissima nei Magistrati, negli Avvocati, nel personale amministrativo che operano nel distretto e che voglio da ultimo ringraziare convintamente per il loro quotidiano impegno e a loro voglio augurare un buon anno giudiziario.
Andrea Orlando
Ministro della Giustizia

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