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Negare o minimizzare la Shoah non è libertà di espressione

Corte di Cassazione – sentenza n. 3808/2022, sez. Prima Penale

Il negazionismo atto a sminuire il peso storico della Shoah non è libera manifestazione del pensiero.
Lo conferma la sentenza di Cassazione n. 3808/2022, con la quale si è condannato un trentenne al pagamento di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende (più spese processuali).

Il caso

27 gennaio 2017, Giornata della Memoria. L’imputato affiggeva per le vie di Milano dei volantini ritraenti Pinocchio che portava sul naso la scritta «Made in Israel». Come se non bastasse si ricordavano titoli di libri che riportavano le testimonianze degli internati nei campi di concentramento, venduti nelle aree di servizio delle autostrada «tra una caciotta e un culatello»; il tutto come facente parte di una “cultura ufficiale” che avrebbe paura di confrontarsi con gli studi revisionisti.

La condanna

La Corte ricorda che la propaganda di idee fondate sull’odio razziale (art. 604-bis c.p.) non scatta solo con atti di negazionismo, ma anche con la minimizzazione. Pratiche, queste, che non rientrano nell’art. 10 della Cedu sul diritto alla libertà di espressione, grazie anche alla Sentenza Perinçek contro Svizzera del 2016 con cui si è riconosciuto che l’Olocausto è accertato e indiscutibile dal punto di vista storico.

In secondo luogo, si è sottolineata la continuità tra politica nazista e occultamento delle prove dei crimini commessi. In questo senso, la pratica di convincere che la Shoah sia una grande bugia non è «la ricerca della verità, ma piuttosto quello (inaccettabile) di riabilitare il regime nazionalsocialista».

Inserendosi in questo contesto, il trentenne non può nemmeno appellarsi alla buona fede. La Giornata della Memoria è stata istituita nel 2000 con l’intento di ricordare le atrocità di cui è capace l’essere umano. Questo vuol dire che l’imputato non solo non ha fatto tesoro dell’insegnamento ricevuto, ma si è adoperato per negarlo.

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