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Mancanza di autocontrollo di persona e su Facebook: bastano per il licenziamento

Tribunale di Pordenone, sentenza n. 126/2020

Al di là del comportamento del datore di lavoro, il lavoratore deve mantenere il suo autocontrollo, anche nel caso in cui critichi le condotte sopraccitate.

È quanto ha stabilito il Tribunale di Pordenone con sentenza n. 126/2020, esaminando il ricorso presentato da società opponente contro l’ordinanza del 2019 in cui si era dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato al convenuto.

Il caso

Sono due gli episodi che hanno portato a rivedere quanto già emesso, fondati come sono su grave insubordinazione e che hanno minato il vincolo fiduciario tra dipendente e società:

  1. il dipendente aveva pubblicato su Facebook quanto segue: «Qualcuno corra a Milano, c’è là la sede di un’azienda i cui corridoi sono intrisi di sangue. Esce dal culo del direttore del personale e dal culo rotto di un avvocato pagato dai dipendenti x esercitare la propria disonestà nei confronti di chi lavora onestamente… appendeteli a testa in giù… Così che il sangue li soffochi»;
  2. invettive, bestemmie e atteggiamenti minacciosi tenuti durante un incontro in cui il dipendente aveva chiesto di incontrare i propri superiori: «mi sento informato e posso denunciarvi penalmente dato che avete riferito a vostro piacimento di fatti senza avere testimoni, ormai a fine gennaio arriverà la denuncia penale, poi non sarò più qui, ma voi non la passate liscia», «vi avevo chiesto di rendermi la vita facile, visto tutti i casini che ho a casa, ma non avete voluto», «sono sette mesi che mi fate la guerra in negozio, cambiandomi anche mansione, ed ho un pacco alto così di lettere», «ho preso 4 ore di perché hai detto che ho bestemmiato, ma ti sos furlan coma me e i dio porco non dovrebbero scandalizzarti», «ma si sa che fine hanno fatto i fascisti, che sono stati appesi a testa in giù».

Quanto appena riportato è bastato affinché tutti i presenti si sentissero preoccupati per la propria incolumità, tanto da chiedere alla società di intervenire.

Conclusione

Considerato il filo che lega i due episodi (la «fine che fanno i fascisti»), il Tribunale ha considerato gravissime le condotte tenute dal lavoratore. È vero che l’espressione del dissenso è un diritto riconosciuto costituzionalmente, ma «appare altrettanto indiscutibile che i toni debbano comunque essere quelli di una comunicazione non ingiuriosa, a maggior ragione se l’esternazione di certi punti di vista avviene tramite un mezzo potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone».
Il giudice, quindi, ha ritenuto opportuno il licenziamento per giusta causa.

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