CivileDiritto della privacy

Diritto all'oblio: la Corte Europea contro Google

La non diffondibilità, senza motivo, di precedenti che possono pregiudicare l’onore di una persona, principalmente è riferito ai precedenti giudiziari di una persona.

Quindi non è legittimo diffondere informazioni a proposito di condanne ricevute salvo che si tratti di casi particolari ricollegabili a fatti di cronaca, e quindi che la pubblicità del fatto sia proporzionata all’importanza dell’evento ed anche al tempo trascorso dall’accaduto.

Più in generale, nel diritto di internet all’oblio è stato definito, per esempio da Guido Scorza, come «il diritto a che nessuno riproponga nel presente un episodio che riguarda la nostra vita passata e che ciascuno di noi vorrebbe, per le ragioni più diverse, rimanesse semplicemente affidato alla storia».

La giurisprudenza italiana ha da tempo affermato che nel diritto di internet «è riconosciuto un “diritto all’oblio”, cioè il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione. Analogo principio è stato applicato anche a personaggi che hanno avuto grande notorietà”.

Un individuo che abbia commesso un reato in passato ha la facoltà di richiedere che quel reato non venga più divulgato dalla stampa e dagli altri canali di informazione; sempre che il pubblico sia già stato ampiamente informato sul fatto e che sia trascorso un lasso di tempo sufficiente dall’evento, tale da far scemare il pubblico interesse all’informazione.

In Italia il principio del diritto di internet all’oblio si concretizza grazie al Garante per la protezione dei dati personali. Il Garante della privacy da anni prova ad individuare una soluzione tecnica per garantire la trasparenza sull’argomento ed evitare che si creino, tramite i motori di ricerca, delle “gogne elettroniche”.

Il Garante ha stabilito che nel caso in cui ad un soggetto sia stata erogata una sanzione da parte di un ente pubblico, e che tale fatto sia stato reso noto sul sito internet dell’ente, “l’ente continui a divulgare sul proprio sito istituzionale le decisioni sanzionatorie riguardanti l’interessato e la sua società, ma è trascorso un congruo periodo di tempo e collochi quelle di vari anni or sono in una pagina del sito accessibile solo dall’indirizzo web. Tale pagina, ricercabile nel motore di ricerca interno al sito, dovrà essere esclusa, invece, dalla diretta reperibilità nel caso si consulti un comune motore di ricerca, anziché il sito stesso?

Secondo la giurisprudenza «il trattamento dei dati personali si è protratto per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi (esercizio del diritto di cronaca giornalistica) per i quali i dati sono stati raccolti e trattati)».

Google non trova soluzioni: sulle ricerche europee pende il “rischio groviera” sul diritto di interne all’oblio. “Google censurerà l’Europa” Sembra che l’America non si sia posta questo problema.

La Corte di giustizia europea sull’argomento è perentoria, condanna Google e stabilisce che qualsiasi cittadino del Vecchio continente ha il diritto oblio: di richiedere la deindicizzazione di alcuni contenuti dai risultati proposti dai motori di ricerca (riferito proprio a Google).

Dalla cronaca alle informazioni personali, dalle foto ai video: non si parla dei contenuti di per sé, ma dei link a quei contenuti. Si può infatti chiedere che vengano eliminati dalle pagine dei risultati compilando un semplice modulo online: considerando che i motori di ricerca sono i varchi d’accesso al web, se qualcosa non appare là sopra, di fatto scompare. Il diritto di internet all’oblio diventa così concreto.

È come non trovare la toppa per aprire una porta, pur avendo la chiave. Ed è già successo milioni di volte.

Da www.saramascitti.it

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Sara Mascitti

Avvocato in Latina www.saramascitti.it

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