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Corte d'Assise di Agrigento: riconosciuto lo stato di schiavitù dei migranti in Libia

Sono già due i tribunali italiani ad aver riconosciuto lo stato di schiavitù in cui versano i migranti chiusi nei campi illegali in Libia. Dopo la pronuncia espressa dalla Corte d’Assise di Milano a ottobre 2017, ora la conferma avviene anche dalla Corte d’Assise di Agrigento.
Amarilda Lici, avvocato di Asgi che si è occupata del processo, afferma che «le condizioni disumane nei centri di detenzione in Libia permangono ancora oggi» e «quanti in Italia e nell’Unione europea chiedono di esternalizzare la gestione delle migrazioni ed il diritto d’asilo in Libia si rendono corresponsabili delle condizioni inumane e delle torture che avvengono in quel Paese».
I fatti oggetto della sentenza riguardano uno dei campi di raccolta di Sabratha, dei centri di detenzione non ufficiali gestiti da gruppi paramilitari libici grazie anche alla collaborazione di altri migranti i quali svolgono un ruolo di controllo interno (un po’ come i Kapò nei lager nazisti). Un motivo sufficiente affinché un cittadino gambiano, reo di aver ridotto in schiavitù un gruppo di migranti che attendeva di poter partire per l’Italia, venisse condannato per «Riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù» come previsto dall’art. 600 c.p.
La condanna trova la sua configurabilità nelle condizioni di vita misere a cui sono sottoposti i migranti, nei lavori forzati per pagarsi il viaggio, nelle violenze e continue minacce alle quali sono sottoposti e, infine, nelle condizioni in cui affronteranno il viaggio finale. Un incubo che continua anche durante la traversata, durante la quale l’imputato minacciava continuamente di bucare il gommone così da destinare tutti a una tragica fine.
In conclusione, l’avv. Lici sottolinea che «va preso atto della necessità di una svolta nelle politiche migratorie attuate negli ultimi anni, facilitando l’ingresso per lavoro e quello per richiedere protezione, attuando il soccorso in mare dei migranti e dismettendo gli accordi di riammissione in specie con Paesi e soggetti che non garantiscono il pieno rispetto della vita e della dignità della persona, conformemente alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed alla Convenzione di Ginevra sul riconoscimento dello status di rifugiato».
 

Fonte: Asgi

 

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