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Corte Costituzionale: incostituzionale l'art. 656, comma V, in tema di "affidamento allargato"

Il diritto alla sospensione dell’ordine di esecuzione allo scopo di chiedere e ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali spetta anche a chi deve scontare una pena (anche residua) fino a 4 anni, questo anche secondo la versione introdotta dal legislatore nel 2013.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 41 depositata il 2 marzo 2018, ha giudicato incostituzionale il comma V dell’art. 656 del C.p.p., che invece prevede la sospensione solo per le pene fino ai 3 anni.
Viene messo in evidenza il “parallelismo” messo in atto dal legislatore tra la sospensione della pena e la possibilità di usufruire dell’affidamento in prova. In questo senso non è stata operata una modifica dell’art. 656 una volta introdotto l’allargamento ai 4 anni, nonostante questa fosse prevista dalla delega sulla riforma dell’ordinamento penitenziario. Un’incongruità legislativa non da poco.
La mancanza di una modifica, infatti, «appare di particolare gravità perché è proprio il modo in cui la legge ha configurato l’affidamento in prova allargato come reclama, quale corollario, la corrispondente sospensione dell’ordine di esecuzione».
I giudici non condividono, quindi, la tesi dell’Avvocatura, la quale sostiene che l’affidamento allargato sarebbe stato introdotto soltanto per i detenuti al fine di favorire lo svuotamento delle carceri. «Il legislatore», spiegano i giudici, «ha esplicitamente optato per l’equiparazione tra detenuti e liberi, ai fini dell’accesso alla misura alternativa». Perciò «si è trattato di una scelta del tutto coerente con lo scopo di deflazionare le carceri, visto che esso si persegue non solo di liberando chi le occupa ma anche evitando che vi faccia ingresso chi è libero».
Perciò, evitando di modificare la norma sulla sospensione «il legislatore smentisce se stesso, insinuando nell’ordinamento una incongruità sistematica capace di ridurre gran parte dello spazio applicativo riservato alla normativa principale».
La pratica in esame, spiegano i giudici, non è solo un mancato coordinamento della normativa, ma una lesione dell’art. 3 della Costituzione in quanto «si è derogato al principio del parallelismo senza adeguata ragione giustificatrice, dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi eguali quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato». Si configura, quindi, l’incostituzionalità dell’art. 656, comma V, C.p.p. «nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a 3 anni anziché a 4 anni».

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