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La ex che lavora in nero ha diritto all’assegno divorzile

Corte di Cassazione – ordinanza n. 29627/2022, sez. Prima civile

L’assegno di divorzio spetta alla moglie che svolge un lavoro irregolare come colf, in quanto la rinuncia del precedente lavoro era avvenuta dopo il matrimonio e in concordanza con il marito.

È quanto si evince dall’ordinanza di Cassazione n. 29627/2022, con la quale si è conferma la decisione presa dalla sentenza n. 5588/2019 della Corte d’Appello di Venezia.

Il caso e i motivi del ricorso

La decisione era già stata confermata in primo e secondo grado: il marito avrebbe dovuto versare alla ex un assegno divorzile di 270 euro. Tuttavia, il marito decidere di ricorrere in Cassazione con i seguenti motivi:

  • primo motivo: l’importo dell’assegno era basato solo sulla differenza reddituale dei due in violazione dell’art. 5, comma VI, della legge sul divorzio;
  • secondo e terzo motivo: non si è tenuto conto che l’ex dispone di 52.000 euro in risparmi, di cui 22.347 corrispondono alla metà degli accantonamenti familiari già divisi in sede di separazione;
  • quarto motivo: la corte d’appello non ha considerato che una parte del reddito dell’ex marito (1.700 euro) va ridotto a 1.620 euro in ragione di alcuni pagamenti a rate.

Lavoro in nero e la rinuncia concordata

La Cassazione respinge il ricorso ricordando i principi sanciti dalle Sezioni Unite (sentenza n. 18287/2018) in materia di assegno di divorzio: «ai fini dell’attribuzione della quantificazione dell’assegno divorzio deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l’ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa ed una adeguata autosufficienza economica nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti».
È giusto ricordare che l’assegno divorzile non deve garantire lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma ha comunque funzione perequativa/compensativa nel momento in cui emerge che uno dei due coniugi ha rinunciato alle proprie aspettative professionali per dedicarsi alla famiglia.

Nel caso in esame, la valutazione dell’assegno è corretta. La donna, sposata a 18 anni e separatasi dopo 33 anni, lavora irregolarmente come colf proprio perché ha lasciato il lavoro precedente per dedicarsi alla famiglia; una decisione concordata che l’ha portata senza dubbio a contribuire alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune.
L’assegno in questione, quindi, è corretto in considerazione delle condizioni economiche precarie e frutto di decisioni prese durante il matrimonio.

Da rigettare anche il quarto motivo: le spese evidenziate sono scelte volontarie e perciò non valutabili.

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