Civile

Interessi moratori

Usura ed anatocismo: la querelle infinita

Premessa

Il presente contributo ? volto all?analisi del rapporto intercorrente tra gli interessi moratori, normalmente pattuiti nei contratti di mutuo bancario, l?usurariet? eventuale degli stessi ed il divieto di anatocismo.
Per la migliore comprensione della problematica ? necessario analizzare in primis il ruolo degli interessi a vario titolo pattuiti nel contratto di mutuo e subordinatamente valutarne il rapporto con il divieto d?anatocismo di cui all?articolo 1283 del Codice Civile.

1. Gli interessi nel contratto di mutuo

La definizione del contratto di mutuo ? data all?articolo 1813, laddove si legge ?Il mutuo ? il contratto col quale una parte consegna all?altra una determinata quantit? di danaro o di altre cose fungibili, e l?altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualit??.

Dalla definizione codicistica si evince un primario principio, ovvero la corresponsione degli interessi non ? essenziale alla qualificazione della dazione di una somma di danaro quale mutuo[1].

Ci? risulta confermato dal successivo articolo 1815 che, ribaltando la presunzione di gratuit? operante sotto la vigenza del vecchio codice, ex articolo 1829[2], conferma semplicemente la naturale, ma non essenziale, onerosit? del mutuo, inserendosi nel tessuto negoziale del contratto stesso la debenza dei cc.dd. ?interessi corrispettivi?, i quali non rappresentano altro che il costo economico che il mutuatario deve sopportare per il godimento della somma di denaro data a mutuo.

Dunque gli interessi, senza distinzione rispetto alla loro precipua funzione di cui meglio nel prosieguo, possono definirsi quale prestazione pecuniaria, periodica, proporzionale, accessoria[3] non essenziale.

Da queste brevi note risulta immediatamente chiaro quali siano le obbligazioni principali gravanti sul mutuatario nelle due differenti ipotesi di mutuo: in quello gratuito l?obbligazione del mutuatario sar? un?obbligazione restitutoria della sola somma corrispondente al capitale, mentre in quello oneroso il mutuatario dovr? restituire una somma ulteriore rappresentante la quota di interessi corrispettivi maturati sul capitale dato a mutuo.

La seconda delle due ipotesi, sopra brevemente delineate, ? quella che comunemente negli affari giuridico-economici viene a concludersi tra un soggetto mutuatario (persona fisica o giuridica) ed un soggetto mutuante (una banca).

I contratti cos? stipulati prevedono sempre piani di rimborso consistenti in un sistema di ammortamento che prevede il pagamento di rate periodiche costituite, dunque, da due differenti voci ugualmente essenziali: una quota di capitale ed una quota di interessi[4].

Conseguentemente, una volta pattuiti, gli interessi, connotano direttamente la causa del contratto divenendone elemento essenziale.

Quanto detto si riferisce alla fase c.d. ?fisiologica? del contratto di mutuo.

Maggiori dubbi, circa le obbligazioni gravanti sulla parte mutuataria, sorgono allorquando ci si trovi nella fase ?patologica? del contratto, fase nella quale il mutuatario non adempie regolarmente le obbligazioni pecuniarie componenti la rata, divenendo insolvente[5].

In tali fattispecie i contratti di mutuo prevedono sempre l?applicazione di un differente tasso di interesse denominato ?tasso di mora?.

Sorgono spontanei alcuni quesiti circa questa pratica diffusa.

In primo luogo ci si interroga sul ruolo svolto dalle due differenti tipologie di interessi nell?economia del contratto.

Secondariamente ? dibattuta la concreta modalit? applicativa del tasso di mora alla rata scaduta, ovvero ? dubbio se si applichi all?intera rata scaduta o meno.

2. Interessi diversi e funzioni diverse

Procedendo con ordine nel provare a dare una risposta agli interrogativi conseguenti la prassi contrattuale bancaria, ? fondamentale soffermarsi in primo luogo sulla funzione svolta dagli interessi corrispettivi e da quelli moratori.

Da quanto sin qui esposto si pu? agevolmente dedurre la diversit? di funzione delle due tipologie di interessi stante la differenza di presupposto genetico.

Gli interessi corrispettivi rientrano nella nozione di frutti civili, ovvero sono il quantum spettante al soggetto che semplicemente metta a disposizione (senza che sia necessaria la consegna, influendo la stessa solo sul diverso tasso di interesse pattuito) una somma di danaro, subendo il detrimento economico del non poterne usufruire esso stesso.

Conseguentemente hanno una funzione tipicamente remuneratoria che discende dalla naturale fecondit? del denaro[6].

L?interesse siffatto, come visto, ? una voce componente la rata complessivamente dovuta, oggetto di un?obbligazione accessoria rispetto a quella principale (consistente nella restituzione della somma capitale data a mutuo) solo ed esclusivamente nel suo momento genetico, assumendo una propria fisionomia ed identit? sin da subito[7].

L?obbligazione avente ad oggetto gli interessi corrispettivi resta in sostanza autonoma rispetto a quella restitutoria del capitale, confluendo nella rata esclusivamente in sede di adempimento[8].

Tale affermazione ? di facile riscontro in ogni contratto di mutuo dove sia prevista la fase di ?preammortamento? durante la quale sono restituiti esclusivamente gli interessi.

Considerare la rata quale unicum inscindibile equivarrebbe ad affermare la capitalizzazione dell?interesse ad ogni scadenza rateale, comportando necessariamente dei risvolti concreti per quel che concerne l?ambito di applicazione dell?interesse moratorio.

La contrattualistica bancaria oggigiorno praticata dalla stragrande maggioranza degli istituti di credito non pare aver dato troppo peso alla questione, tanto ? vero che ? sempre pattuita una clausola per il caso di inadempimento o ritardato pagamento che lascia il compito all?interprete ricostruirne la compiutezza ed il senso.

Il format, pressoch? ormai standardizzato, reca una dicitura ambigua circa l?ipotesi di inadempimento o ritardato pagamento delle rate scadute, la quale applica ad ogni somma ?a qualsiasi titolo dovuta e non adempiuta alla scadenza? l?interesse di mora.

Dunque la precipua funzione dell?interesse di mora dovrebbe essere tendenzialmente quella di sanzione per l?inadempimento o ritardato pagamento.

Orbene come visto per?, la rata complessivamente scaduta si compone sempre di due differenti voci: una corrispondente alla quota capitale da restituire, l?altra corrispondente alla quota di interessi maturata per la naturale fruttuosit? del danaro.

Prima di analizzare a quale voce della rata debba correttamente applicarsi il tasso di mora[9], ? bene precisare quali siano le tecniche utilizzate dagli istituti di credito per l?individuazione dello stesso: o la mora ? individuata indicando un autonomo tasso di interesse ben definito ab origine, ovvero si prevede uno spread che vada a maggiorare percentualmente il tasso corrispettivo praticato.

In entrambi i casi la mora si applicher? necessariamente all?intera rata complessivamente considerata in quanto alla scadenza della rata il capitale dovuto ha prodotto interessi secondo quanto previsto dal codice civile (art. 821 terzo comma ??giorno per giorno??) sulla base del tasso corrispettivo pattuito.

Nell?ipotesi di un tasso di mora autonomo, ossia non individuato mediante una maggiorazione percentuale del tasso corrispettivo, questo, come in prosieguo meglio precisato, si applicher? all?intera rata, comprensiva sia di capitale che di interessi, ottenendosi nella sostanza, una duplicazione del tasso di interesse evidente.

Lo spazio ad interpretazioni differenti ? davvero limitato, a meno di non voler assentire la capitalizzazione dell?interesse corrispettivo ad ogni scadenza, sicch? la rata scaduta risulterebbe formata esclusivamente da capitale che, se non adempiuto, in quanto somma di danaro certa, liquida ed esigibile ? naturalmente fruttifera secondo il diverso tasso (sanzionatorio) di mora.

Tecnica (solo apparentemente) differente, ? quella che individua il tasso di mora in uno spread aggiuntivo rispetto all?interesse corrispettivo.

Sono state avanzate discordanti interpretazioni circa la reale portata di tale prassi contrattuale, non riuscendo a comprenderne la concreta modalit? operativa.

Le letture possibili secondo lo scrivente sono due: o lo spread si applica tout court alla rata nel suo complesso considerata, ovvero consiste in un aumento percentuale dell?interesse corrispettivo che andrebbe a sostituire, applicandosi alla sola quota capitale componente la rata, divenendo il tasso di mora un tasso sostitutivo (e pi? alto) del tasso corrispettivo.

Quest?ultima lettura ? quella che sicuramente lascia pi? perplessi ed ? la lettura data dagli istituti di credito e da una parte della dottrina al tasso di mora (a prescindere dunque dalle sue concrete modalit? di individuazione), il quale sarebbe un interesse che succede al corrispettivo, ?i due tassi si succedono, non si sommano?[10].

Tale affermazione non ? condivisibile sia con riferimento ad un tasso di mora autonomamente individuato, sia nell?ipotesi da ultimo considerata della mora individuata attraverso uno spread percentuale additivo al tasso corrispettivo.

Proprio tale ultima tecnica evidenzia i limiti del ragionamento che asserisce una ?successione? dei tassi, risultando difficile immaginare come possa sostituirsi il tasso di mora (determinato quindi per relationem dall?interesse corrispettivo maggiorato dallo spread contrattualizzato) a quello corrispettivo, il quale ultimo ? solo un parametro proporzionale del quantum progressivamente dovuto dal mutuatario a titolo di corrispettivo del godimento del danaro che, alla scadenza della rata, si consolida in un?autonoma obbligazione la quale, come gi? detto, cessa di essere accessoria rispetto alla base di calcolo cui si parametra percentualmente (ossia la quota di capitale), restando totalmente indipendente ed autonoma, divenendo essa stessa parte dell?inadempimento, il quale ultimo (l?inadempimento) non ? che il prius logico-giuridico stesso che fa scaturire l?applicazione dell?interesse di mora.

Si assisterebbe dunque, per il caso di inadempimento, ad un?estinzione parziale dell?obbligazione complessivamente dovuta, applicandosi al capitale inadempiuto un diverso tasso di interesse, sostitutivo, remuneratorio e sanzionatorio.

Tale lettura della clausola che disciplina la mora, pu? considerarsi ?salva usura? in quanto cerca di negare la duplicazione dell?interesse applicato al capitale, cercando di prevenire eventuali sforamenti del tasso concretamente applicato rispetto al tasso soglia oltre il quale il mutuo ? usurario ai sensi dell?articolo 1815 comma secondo del c.c. .

Per ovvie ragioni non pu? certo ammettersi una interpretazione siffatta che, pur di negare la sommatoria dei due tassi di interesse in caso di inadempimento o ritardato pagamento, arriva all?assurdo sopra esposto di ?sostituire? al tasso corrispettivo quello di mora.

L?interpretazione sistematica della clausola disciplinante la mora porterebbe in realt? a considerare tale interesse quale tasso diverso solo ed esclusivamente per il suo differente presupposto genetico, ma non per la sua concreta funzione che resterebbe comunque remuneratoria, questa volta non del godimento, ma del ritardo nella restituzione della somma dovuta, somma che alla scadenza del pagamento dovuto ? naturalmente[11] composta sia da una quota capitale che da una quota di interessi.

E? corretto dunque applicare la mora all?intera rata scaduta, argomentare diversamente significherebbe ammettere che il mutuo inadempiuto diverrebbe da oneroso a gratuito perdendosi nella rata, in forza della sostituzione conseguente all?inadempimento stesso, una parte connaturale al mutuo stesso, ovvero la quota di interessi corrispettivi.

Tale impostazione, per?, fa emergere diverse criticit?.

In primis occorre evidenziare come la naturale sommatoria dei due tassi di interesse (nel senso sopra visto), non pu? ovviamente risolversi in una mera addizione algebrica (come propugnato semplicisticamente da associazioni dei consumatori a seguito di una errata lettura dell?ormai arcinota sentenza di Cassazione n. 350 del 2013, la quale pu? ormai considerarsi quale leading case nell?ambito dell?usura bancaria), dovendosi, invece, necessariamente considerare il tasso di mora all?interno dei costi effettivamente sostenuti dal mutuatario per la conclusione del contratto il quale, unitamente a tutte le ulteriori spese a vario titolo sostenute, deve essere evidenziato dall?ISC, onde consentire al mutuatario di poter valutare i costi complessivi dello stipulando contratto[12]. Secondariamente, la previsione di un tasso di interesse moratorio eccessivamente elevato si sostanzier? in una pattuizione di un interesse usurario[13] nullo ai sensi dell?articolo 1815 comma 2 c.c. , a nulla rilevandosi le eccezioni di una sua mera eventualit? applicativa, con ci? tentando di limitarne la portata.

Negare qualsiasi rilievo all?interesse moratorio nell?economia complessiva del contratto nella sua fase ?fisiologica?, attribuendogli rilevanza solo in una eventuale fase di inadempimento o ritardato pagamento, lo sminuirebbe non conferendogli il giusto peso.

D?altronde basta raffrontarlo alla penale per anticipata estinzione: anche quest?ultima ? solo eventuale, ma nessuno dubita ad attribuirle un peso rilevante nell?economia del contratto.

La pratica di applicare un tasso moratorio praticamente coincidente al tasso soglia comporter? necessariamente l?usurariet? del mutuo[14] per quanto detto sopra, essendo tale pratica il risultato di una prassi bancaria errata alla radice (tanto da modificarsi radicalmente a seguito della sentenza di Cass. n. 350/2013) che di certo non potr? portare a distorsioni giuridiche come quelle evidenziate in precedenza.

Questa ? solo una delle criticit? che emergono dall?applicazione dell?interesse di mora alla rata, sicuramente quella che oggigiorno ha inciso maggiormente sugli usi bancari, costringendo gli istituti di credito, come detto, a mutare i loro format contrattuali drasticamente.

Ma ad un?attenta analisi si scorge l?altra enorme criticit? di tale pratica: l?interesse di mora cos? applicato (ovvero alla rata nella sua interezza) si concreta in un interesse anatocistico.

3. Interesse di mora e anatocismo

Assodata dunque la naturale e necessaria applicazione dell?interesse di mora alla rata complessivamente considerata, ritorna d?attualit? una risalente criticit?[15]: tale interesse moratorio si risolve in un interesse anatocistico vietato dall?articolo 1283 c.c. .

La pratica dell?anatocismo (dal greco an? ? ?sopra? o ?di nuovo?, e tok?s ? ?prodotto? o ?frutto?)[16] consiste nella produzione degli interessi sugli interessi.

Il meccanismo non consente al debitore di poter valutare compiutamente i risultati[17] che questa pratica comporterebbe se non fosse regolamentata in maniera analitica, prevedendo delle limitazioni.

Gi? il diritto romano conosceva tale prassi, vietandola espressamente, cos? come, medesimo divieto, venne ripreso da Giustiniano.

Ad una secca proibizione subentr? un atteggiamento di lieve apertura nel periodo immediatamente successivo alla rivoluzione francese, atteggiamento che venne recepito dal Code Civil napoleonico[18], e, successivamente, dal codice civile italiano del 1865.

Sulla scia di quest?ultimo anche il Codice Civile italiano attualmente vigente prevede una lieve apertura rispetto alla pratica anatocistica.

L?articolo 1283 c.c. recita testualmente: ?In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.?

La pratica ? sostanzialmente vietata dalla norma che ritaglia analiticamente lo spazio per le eccezioni a quello che appare un divieto assoluto, facendo comunque salvi gli ?usi contrari?.

Quali siano precisamente tali usi contrari cui la norma si riferisce ? una questione, ancora oggi, estremamente controversa e dibattuta.

L?inciso ha, infatti, radici storiche assai risalenti e, precisamente, all?indomani dell?entrata in vigore del Codice Civile del 1942, la prassi anatocistica era frequente in svariati settori del commercio[19].

Tale apertura, in una norma che sostanzialmente vieta l?anatocismo, era volta proprio ad evitare la modifica di quelle consolidate (ed anteriori) pratiche commerciali.

Tuttavia quella clausola di salvezza si prest? immediatamente ad abusi da parte del settore bancario, che provvide ad inserire un articolo, il sette per la precisione, al N.B.U. (Norme Bancarie Uniformi) assolutamente illegittimo, che prevedeva la capitalizzazione degli interessi scaduti secondo un doppio binario: trimestralmente (in aperto contrasto con quanto sancito dall?articolo 1283 che prevedeva una capitalizzazione semestrale degli interessi scaduti) per i clienti morosi verso la banca; annualmente per i clienti regolari nei pagamenti[20].

Il tutto sulla base di una pattuizione anticipata rispetto alla capitalizzazione stessa, e quindi in aperto contrasto (nuovamente) con quanto previsto dalla norma codicistica che vuole la ?convenzione (sull?anatocismo) posteriore alla loro (degli interessi) scadenza?.

Per decenni le accuse di una acclarata violazione dell?articolo 1283 c.c. furono rispedite al mittente (il consumatore) dalla giurisprudenza di legittimit? sulla scia di un?argomentazione che nei fatti svuotava di significato la norma, o meglio la rendeva inapplicabile ai rapporti bancari.

I Tribunali di merito facevano leva in sostanza su di un presunto ?uso bancario? che di fatto rientrava tra gli ?usi contrari? consentiti dalla stessa norma invocata quale ancora di salvezza.

Tuttavia, quello che lasciava gli interpreti perplessi di fronte a tale impostazione del problema, era la concezione di cosa dovesse intendersi per ?uso?.

L?uso cui fa riferimento la norma non pu? che essere un uso normativo, e tale non pu? essere considerato sicuramente quello bancario, stante l?inesistenza di una specifica disciplina sul punto anteriore all?entrata in vigore del Codice Civile, palesandosi per la prima volta solo negli anni cinquanta con l?introduzione del citato articolo 7 nel N.B.U. .

Solo sul finire degli anni novanta la giurisprudenza di legittimit?, analizzando sotto una differente angolazione il problema, ha mutato indirizzo con uno storico revirement[21], affermando che gli usi contrari, cui fa riferimento la norma del codice, sono gli usi normativi, non potendo assurgere a tale rango gli usi bancari, i quali, semplicemente, sono degli ?usi negoziali?, come tali esclusi dall?ambito di ?salvezza? dell?articolo 1283 c.c. .

La conseguenza di tale mutamento giurisprudenziale si concret? in una preoccupazione crescente e pressante degli istituti di credito, tanto che il Governo intervenne con l?emanazione di una (prima) norma ?salva banche?[22]: l?articolo 25 del D.lgs. 4 agosto 1999 n. 342 che al comma terzo in sostanza faceva salve le pregresse pattuizioni anatocistiche (di fatto riconoscendo l?inesistenza di un uso normativo bancario uniforme sul punto), prevedendo poi per il futuro la rimessione circa la determinazione della produzione degli interessi sugli interessi ad un?autorit? amministrativa quale il CICR.

La delega siffatta fu aspramente criticata in punto di legittimit? costituzionale.

In particolare vennero paventate le violazioni degli articoli 3, 41, 76 e 77 della Costituzione.

L?attesa ed auspicata pronunzia della Corte Costituzionale[23] non tard? ad arrivare, esprimendosi per l?illegittimit? costituzionale dell?articolo 25 comma terzo contenente la salvezza per il pregresso (oltre alla delega ad un?autorit? amministrativa, quale il CICR, per il futuro), rinvenendosi in tale pratica un eccesso di delega: la corte osserv? (si riporta testualmente):

?In altri termini, il legislatore delegato, da un lato sancisce (pro praeterito), per qualsiasi tipo di vizio, una generale sanatoria delle clausole anatocistiche illegittime contenute nei contratti bancari anteriori al 19 ottobre 1999, con effetti temporalmente limitati sino al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR); dall’altro attribuisce (pro futuro), sia pure nell’identico limite temporale, la stessa indiscriminata “validit? ed efficacia” alle clausole poste in essere nel periodo tra il 19 ottobre 1999 ed il 21 aprile 2000.

Ma, cos? disponendosi, ? venuta meno ogni continuit? logica con la delega, rompendosi la necessaria consonanza che deve intercorrere tra quest’ultima e la norma delegata.?

Non solo, ma la Corte prosegue nell?argomentare l?iter logico con cui ? addivenuta alla pronunzia di illegittimit? affermando che: ?L’indeterminatezza della fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 non consente di ricondurre la denunciata norma nell’?mbito dei princ?pi e criteri della legge di delegazione. Questi, infatti, non possono ragionevolmente interpretarsi come abilitanti all’emanazione d’una disciplina di sanatoria (per il passato) e di validazione anticipata (per il periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge delegata e quella della delibera del CICR) di clausole anatocistiche bancarie, del tutto avulsa da qualsiasi riferimento ai vizi ed alle cause di inefficacia da tenere per irrilevanti: quindi – stante il difetto di distinzioni e precisazioni nella legge delegata – senza una necessaria e sicura rispondenza (diretta od indiretta) ai principi e criteri informatori del testo unico bancario.

Esclusa, pertanto, la possibilit? di un’interpretazione adeguatrice della legge delegata alla legge delegante, deve concludersi – indipendentemente da ogni considerazione sulla ragionevolezza intrinseca della norma denunciata, e restando assorbito ogni altro profilo delle sollevate questioni – che la norma in esame viola l’art. 76 della Costituzione? concludendo con la declaratoria dell’illegittimit? costituzionale dell’art. 25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342.

La sentenza della Consulta ebbe dunque un impatto devastante sui contratti bancari ante 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR disciplinante per l?avvenire), confermando la declaratoria di nullit?, per violazione dell?articolo 1283 c.c., della clausola contenente la mora per inadempimento o ritardato pagamento da applicarsi all?intera rata che il Governo, tramite la criticata delega, aveva provato a sterilizzare.

Non si comprende allora come l?articolo 120 del T.U.B. sia sopravvissuto alla declaratoria di illegittimit? costituzionale nella parte che rimanda al CICR la determinazione dei criteri futuri di definizione degli interessi sugli interessi, stante la comune genesi dalla norma (l?articolo 25 comma terzo del D.Lgs. 342/1999) che ? stata espressamente messa fuori gioco dalla Consulta per quel che concerne il passato[24].

Come farebbe nella sostanza a non cadere nell?eccesso di delega anche la norma che demanda ad un organo amministrativo la regolamentazione degli interessi sugli interessi?

L?interrogativo non ha ricevuto una risposta soddisfacente.

Ad ogni modo l?articolo 120 del TUB successivamente l?intervento della Consulta, ha conosciuto un periodo di tormentati cambiamenti nel tentativo di renderlo pi? stabile e meno censurabile.

Dapprima si ? intervenuti con l?articolo 4 comma secondo del D.lgs 141 del 2010 immediatamente rielaborato dall?articolo 3 del D.lgs 218 del 2010.

Nella sostanza la disciplina non mutava affatto, demandando sempre al CICR il compito di stabilire ?modalit? e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attivit? bancaria?, osservando l?accortezza di prevedere ?in ogni caso? la medesima periodicit? nel conteggio degli interessi creditori e debitori.

Una profonda novit? (per lo meno nelle intenzioni) era stata introdotta dall?articolo 1 comma 629 della Legge n. 147 del 27 dicembre 2013.

L?intento meritevole del legislatore era quello di voltare definitivamente pagina e tendere finalmente la mano al consumatore, ponendo la parola fine alla pratica anatocistica.

A seguito dell?intervento legislativo l?articolo 120 del TUB comma secondo veniva modificato come segue:

?2. Il CICR stabilisce modalit? e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attivit? bancaria, prevedendo in ogni caso che:

  1. a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicit? nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
  2. b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale??.

La norma finalmente metteva nel dimenticatoio l?anatocismo, consolidando il principio che gli interessi prodotti dal capitale rimangono distinti dallo stesso e non possono produrre interessi a loro volta, se non secondo le modalit? stabilite dall?articolo 1283 del c.c. .

Il legislatore in realt? parlava di interessi capitalizzati, ma evidentemente voleva intendere contabilizzati.

Diversamente non avrebbe avuto molto senso la nuova formulazione in quanto come si sarebbero potuti distinguere gli interessi dal capitale se questi venivano capitalizzati divenendo un unicum inscindibile?

E? evidente allora che la norma intendeva riferirsi alla naturale e legittima fruttificazione del capitale mediante la produzione di interessi, i quali ultimi si sarebbero dovuti liquidare secondo le scadenze pattuite in contratto, rimanendo comunque distinti dalla quota capitale, secondo il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimit?[25], non potendo pi? produrre ulteriori interessi.

In quest?ottica, essendo naturalmente dovuta la mora sull?intera rata scaduta, l?interesse moratorio, per come inteso oggi dalla prassi contrattuale, rientrerebbe nell?alveo dell?articolo 1283, potendosi applicare alle somme complessivamente dovute solo dalla domanda giudiziale ovvero sulla base di una convenzione posteriore, il tutto come gi? sancito dalla giurisprudenza di legittimit?[26].

L?illusione di un cambiamento epocale dur? poco purtroppo: il Governo prontamente cambi? rotta nuovamente, modificando l?articolo 120 del TUB.

L?articolo 31 del D.l. n. 91/2014 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 giugno 2014, recita:

?1.? Il comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, ? sostituito dal seguente:

? “2. Il CICR stabilisce modalit? e criteri per la? produzione, con periodicit? non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente? Titolo.

Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento ? assicurata, nei confronti della? clientela, la stessa periodicit? nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi ? comunque effettuato il 31 dicembre”.

  1. Fino all’entrata in vigore della delibera del CICR prevista dal comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, continua ad applicarsi la delibera del CICR del 9? febbraio 2000, recante “Modalit? e criteri per? la? produzione? di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attivit? bancaria e finanziaria? (art. 120, comma 2 del?? Testo Unico Bancario, come modificato dall’art. 25 del D.lgs. 342/99)”, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 del presente articolo.
  2. La periodicit? di cui al comma 2 dell’articolo 120 del? decreto legislativo 1?? settembre 1993, n.385, si applica comunque ai contratti conclusi dopo che sono decorsi due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto; i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli conclusi nei due mesi successivi sono adeguati? entro? sei? mesi? dalla? data di entrata in vigore del presente decreto, con l’introduzione di clausole conformi alla predetta periodicit?, ai sensi dell’articolo 118 del decreto legislativo 1? settembre 1993, n. 385??.

A nemmeno sei mesi di distanza l?anatocismo fu nuovamente legittimato, demandando nuovamente al CICR il potere di rendere concretamente operativa la nuova (vecchia) norma.

Tuttavia la successiva legge di conversione del DL 91/2014 ha definitivamente eliminato l?articolo 31 del dl stesso il quale aveva surrettiziamente reintrodotto la legittimit? dell?anatocismo, aprendo nuovamente ad un?interpretazione restrittiva della pratica anatocistica.

4. Conclusioni

Un?interpretazione storico-sistematica dell?articolo 1283 c.c. consentir? a chiarirne l?imperativit?, e la conseguente sua derogabilit? solo in presenza di usi contrari purch? normativi ed anteriori all?entrata in vigore del Codice Civile.

La ratio della norma, lascia trasparire l?intento del legislatore, che era quello di impedire una pratica odiosa quale quella anatocistica, species del pi? ampio genus ?usura?, ed anzi ancora pi? subdola rispetto a quest?ultima in quanto non consentirebbe al debitore la preventiva conoscenza e/o conoscibilit? della somma da restituire al mutuante.

Da un inquadramento sistematico dell?articolo 1283 c.c. all?interno del Codice, se ne pu? agevolmente constatare come non sia l?unica norma dello stesso a fare salvi gli usi contrari[27].

E? pregiudiziale a questo punto per? definire cosa debba intendersi per ?uso?, per poter poi procedere ad una comparazione dell?articolo 1283 c.c. con le altre norme codicistiche che fanno riferimento agli usi contrari.

L?articolo 1 disp. prel. cod. civ. annovera tra le fonti del diritto gli usi.

L?articolo 8 disp. prel. cod. civ. precisa per? che nelle materie regolate dalla legge l?uso assume rilevanza di fonte solo se dalla stessa richiamato.

Infine l?articolo 9 disp. prel. cod. civ. pone una presunzione di conoscenza degli usi pubblicati nelle raccolte tenute, di norma, dalle Camere di commercio.

Date la circoscrizione sia del rango che del ruolo, pu? definirsi quale uso la reiterazione, uniforme e costante, di una data condotta, nella consapevolezza della sua vincolativit?.

L?uso, per come definito, non potr? mai essere contra legem dal momento che ? fonte ad essa subordinata e che opera solo nei limiti circoscritti dalla medesima[28], potendo porsi al pi? quale sua integrazione, operando comunque secundum legem, cio? secondo le disposizioni normative, ovvero al di la delle stesse (praeter legem) ma solo in difetto di norme contrarie.

Alla luce di quanto detto, da una lettura comparata dell?articolo 1283 c.c. con le altre norme facenti salvi gli usi contrari, pu? facilmente notarsi come queste ultime introducano tale salvezza accompagnata sempre dalla costante presenza di una congiunzione disgiuntiva che farebbe sempre salvo il ?patto contrario? ovvero ?la diversa pattuizione? immediatamente dopo la locuzione ?usi contrari?.

La funzione della congiunzione disgiuntiva ? quella di introdurre un?alternativa tra due parole, due concetti o due frasi, tali da renderle perfettamente surrogabili e fungibili tra loro.

Conseguentemente, in tutte le norme in esame, l?uso contrario sarebbe sempre surrogabile da una diversa pattuizione, evidentemente coeva al raggiungimento dell?accordo di cui trattasi, denotando un aspetto fondamentale (ed assente nell?articolo 1283 c.c.) consistente nell?espresso riconoscimento della rilevanza ad usi non solo anteriori ma anche posteriori (data la loro surrogabilit? con accordi stipulati dai consociati necessariamente in data successiva al 1942) all?entrata in vigore del Codice Civile.

Tutte ad eccezione dell?articolo 1283 c.c., unica norma ad esordire facendo salvi ?gli usi contrari?, introducendo immediatamente dopo la virgola, la cui funzione grammaticale ? quella di dividere una proposizione da un?altra, un divieto di carattere imperativo che proibirebbe in maniera tassativa l?anatocismo, non tollerandolo se non nei limiti ritagliati dalla norma stessa, ovvero consentendolo o dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una apposita convenzione stipulata posteriormente alla scadenza degli interessi.

L?uso contrario d?esordio della norma, sarebbe necessariamente un uso normativo gi? in essere precedentemente all?entrate in vigore del Codice Civile e volto a salvare pratiche commerciali gi? in uso in diversi settori del commercio (non esistendo alcun uso normativo in tal senso in ambito bancario tale da giustificare una lecita deroga al divieto[29]), tanto ? vero che non sarebbe surrogabile da un accordo od una diversa pattuizione.

Ragionare diversamente svuoterebbe di significato una norma imperativa che introduce un divieto assoluto di anatocismo (facendo salve le due eccezioni viste).

Consentire la sua derogabilit? in maniera indiscriminata, in forza di usi posteriori all?entrata in vigore del Codice, tradirebbe non solo la ratio perseguita dalla norma, ma anche una precisa scelta lessicale e grammaticale fatta dal legislatore (in un periodo storico in cui le norme non erano certo figlie di compromessi) espressione di una precisa scelta di politica legislativa volta a salvare esclusivamente il pregresso, senza la previsione di alcun salvagente (quali accordi o pattuizioni surroganti l?uso contrario) per l?avvenire.

Il Legislatore in sede di conversione del DL 91/2014, sembra essere andato nella giusta direzione interpretando il divieto di cui all?articolo 1283 c.c. in termini assoluti come era nelle intenzioni originarie della norma.

Conseguentemente, l?attuale formulazione dell?art. 120 del TUB risulterebbe essere quella ante DL 91/2014, ossia quella di cui alla Legge n. 147/2013 (legge di stabilit? per l?anno 2014) che nella sostanza vietava l?anatocismo.

Alla luce di quanto detto si pu? concludere che la pratica anatocistica ? definitivamente venuta meno se non nei limiti ritagliati dal combinato disposto dell?articolo 1283 e Legge n. 147/2013.

Nelle more dell?intervento del CICR per come richiesto dalla legge di stabilit? 2014, non pu? ritenersi pi? in vigore il richiamo (che il comma secondo dell?articolo 120 del TUB continua a fare) alla precedente delibera CICR 9 febbraio 2000, in quanto fonte secondaria di tipo amministrativo che regolamenterebbe oggi una pratica vietata da una normativa primaria quale ? la legge di stabilit? 147/2013.

 


 

[1] DIENER, ?Il contratto in generale?, Milano, 2010.

[2] Articolo 1829 del Codice Civile del 1865: ?E? permessa la stipulazione degli interessi nel mutuo di danaro, di derrate o di altre cose mobili?.

[3] BIANCA, ?Diritto Civile?, volume n. 4 l?obbligazione, Milano, 2012, pagine 174 e ss.

[4] Sul punto si segnalano tre differenti modalit? di piani di ammortamento: a) ammortamento all?italiana (in cui le rate sono tutte differenti in quanto composte da una quota capitale costante ed una quota di interessi decrescente in quanto rapportata al capitale residuo che, rata dopo rata, si riduce); b) ammortamento alla francese (laddove le rate sono costanti composte da una quota capitale e quota di interessi variabile); c) ammortamento alla tedesca (come nell?ammortamento sub b) ma con rate ad interessi anticipati).

In particolare si segnala come il sistema di ammortamento alla francese applichi un interesse composto e non semplice che si basa su calcoli di matematica attuariale non conformi a quanto previsto in tema di frutti civili dal nostro Codice Civile.

Conforme a tale impostazione il Trib. Bari 29 ottobre 2008 n. 113, in senso difforme si veda l?Abf di Milano, decisione n. 429 del 21 gennaio 2013, dove si evidenzia che il piano di ammortamento alla francese non prevede un interesse composto ma semplicemente un ammortamento del capitale pi? lento in funzione di una restituzione di quote di capitale crescenti, di fatto rallentando l?ammortamento (di fatto, secondo lo scrivente, pagando interessi in via anticipata su un capitale che ancora non ha ?fruttificato? gli stessi, in contrasto con quanto disposto dall?articolo 821 c.c.).

[5] Medesime problematiche vengono affrontate da RONDINELLI M. nel suo Appunti e spunti in tema di usura contrattualizzata nei contratti di mutuo (e non solo) a margine dell?Ordinanza del Tribunale di Milano del 28/01/2014, in Riv. Dir. Banc., 9, 2014.

[6] L?espressione ? di BIANCA, ult. Cit.

[7] Cass. 5 ottobre 1980, n. 5343, in GI 1981, I, 1079.

[8] Cass. 22 maggio 2104, n. 11400.

[9] Sul punto si vedano le differenti interpretazioni dei giudici di merito a seguito della sentenza di Cass. n. 350 del 2013, ed in particolare, per una differente prospettiva, si segnalano ordinanza del Tribunale di Rovereto del 30 dicembre 2013 ed ordinanza del Tribunale di Milano del 28 gennaio 2014.

[10] Sul punto MARCELLI ?La mora e l?usura: criteri di verifica?, pubblicata sul sito dell?associazione assoCTU ?www.assoctu.it-.

[11] L?espressione si riferisce alla naturale onerosit? del mutuo, che in quanto tale prevede la remunerazione data dall?interesse corrispettivo.

Eliminando tale interesse dal contratto si noverebbe il contratto da oneroso in gratuito in aperto contrasto con quanto previsto dall?articolo 118 del T.U.B. che vieta, nei contratti di durata a tempo determinato, le modifiche unilaterali al tasso di interesse.

[12] Nella sostanza sar? necessario individuare un autonomo tasso denominato ?tasso interno di rendimento? (TIR), il quale indicher? l?effettivo costo sostenuto dal mutuatario (e lucrato dalla banca) in termini di interessi: solo un eventuale eccedenza di tale interesse rispetto alla soglia render? il mutuo usurato.

[13] L?usura era pratica ritenuta odiosa dalla Chiesa cattolica tanto da venire condannata espressamente dal Concilio di Trento che la ritenne una variet? di furto, e come tale rientrante nel novero del settimo comandamento ?Non rubare?.

[14] Nella sostanza sar? sufficiente effettuare la seguente operazione per evidenziare quale sia l?incidenza di costi ulteriori, rispetto al tasso corrispettivo, sul prodotto finanziario per rendersi conto dello sforamento del tasso soglia, con conseguente falcidia di ogni interesse pattuito: (TAEG-TAN)= costi eccedenti il tasso corrispettivo.

Lo sforamento ? evidente in due differenti ipotesi:

  1. nell?eventualit? di un tasso moratorio eccedente la soglia ab origine, ma ricondotto nei limiti della soglia grazie alla presenza della c.d. ?clausola di salvaguardia?: in tal caso infatti la mora coincider? con il tasso soglia e sar? sufficiente una qualsiasi spesa ulteriore per rendere il tasso usurato;
  2. medesime considerazioni fatte sub a) per l?ipotesi di un tasso moratorio pattuito coincidente con il tasso soglia.

[15] La pratica di applicare degli interessi ai prestiti di danaro era conosciuta sin dal diritto romano, ma la stessa era vista con sfavore, quasi con sdegno, tanto che il mutuo era un contratto ?essenzialmente? gratuito.

Sul punto si veda ARANGIO-RUIZ, ?Istituzioni di diritto romano?, Napoli, 2002.

[16] CUTUGNO – DE GIOIA, ?L’anatocismo bancario?, Milano, 2005.

[17] Sul punto MESSA, ?L?obbligazione degli interessi e le sue fonti?, Milano, 1911.

[18] Si veda l?articolo 1154 del codice civile napoleonico, poi quasi testualmente ripreso dall?articolo 1232 del Codice Civile italiano del 1865.

[19] Tra i quali non rientravano i mutui.

[20] Chiarissimo sul punto GIAN MARIA CELARDI, ?L?anatocismo bancario nella giurisprudenza di legittimit??, in Giust. Civ., fascicolo 10, 2011.

[21]Sentenza Cass. N. 2374 del 16 marzo 1999.

[22] Gi? P. Schlesinger, in un articolo apparso su Il Sole-24 ore, 6 ottobre 1999, ?Ma l’intervento del legislatore non arginer? le controversie?, acutamente osserv?, ben prima che il Governo tendesse la mano alle banche: “Questa novit? legislativa non pu? essere giudicata positivamente per quanto riguarda la sua pretesa di trovare applicazione non solo per il futuro – dove l’intervento va benissimo – ma anche per il passato, proteggendo cos? l’operativit? di tutte le clausole oggi vigenti e gettando una ciambella di salvataggio alle banche, con efficacia retroattiva, a dispetto di quanto statuito con tanta solennit? dalla Cassazione”.

[23] Corte Costituzionale, sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000.

[24] Medesima perplessit? ? manifestata da DOLMETTA in ?Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2012 (retroattivit? di leggi bancarie, prescrizione della ripetizione per titolo invalido di versamenti in c/c e diritto vivente dell?anatocismo)?, Banca borsa tit. cred., fasc. 4, 2012.

[25] Vedi nota 7.

[26] Cass. N. 2593 del 2003, ribadito poi dalla gi? citata Cass. N. 11400 del 2014.

[27] Si vedano gli articoli 1457, 1510, 1528, 1665, 1739, 1756, 2148.

[28] Articolo 15 disp. prel. cod. civ.: ?Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori??.

[29] Si sottolinea come gli usi bancari raccolti dalla Camera di Commercio di Firenze del 1960 fossero espressamente definiti ?usi negoziali?.

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Domenico Griffo

Avvocato in Genova, Studio Legale e Notarile Griffo

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