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Anonimizzare le sentenze: compromesso tra accessibilità dei dati e tutela delle parti

La sentenza di Cassazione n. 47126/2021 e la questione relativa all'anonimizzazione dei dati sensibili delle parti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha rimesso in evidenza il dibattito riguardante la necessità o meno di anonimizzare le sentenze.

Il caso

La sentenza in questione è la n. 47126/2021, con la quale la corte di legittimità ha respinto un ricorso basato sulla richiesta di oscuramento dei dati sensibili ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 196/2003 del Codice della Privacy.

L’articolo in questione permette al soggetto interessato di richiedere all’Autorità l’annotazione «colta a recludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento».

La richiesta, però, si può accogliere bilanciando la «particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento» e la «delicatezza della vicenda oggetto del giudizio». Un principio che ha portato i giudici di legittimità a respingere il ricorso in quanto nella sentenza non vi era alcun dato sensibile e il caso non era di particolare delicatezza.

La domanda, a questo punto, è la seguente: una sentenza può davvero essere pubblicata in forma integrale o deve anche tutelare la privacy delle parti?

Anonimizzazione come compromesso

Il punto di vista di Antonello Soro, ex Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, si basa su una riflessione: «La disputa non riguarda cosa la Legge consente di fare ma piuttosto su cosa, nel rispetto della Legge, sia giusto fare».

In un suo intervento del 2014, Soro individua tre motivi per i quali una sentenza integrale dovrebbe essere pubblica:

  1. perché «è emessa nel nome del popolo italiano; come nel nome del popolo – recita l’art. 101 Cost. – è amministrata la giustizia»;
  2. in quanto conclusione di «un processo la cui “pubblicità” si è storicamente affermata in funzione di garanzia del cittadino»;
  3. perché, soprattutto se di legittimità, «afferma dei principi che costituiscono un patrimonio giuridico collettivo».

Tuttavia, una sentenza può mettere sulla pubblica piazza degli aspetti molto delicati della vita del soggetto coinvolto (divorzio, infermità, questioni lavorative ecc.). Con questa premessa, è giusto porsi una domanda: che utilità ha identificare le parti per i soli fini della conoscenza dei principi giuridici?

Una domanda legittima, dato che la diffusione delle sentenze non avviene più solo tramite riviste specializzate ma coinvolge numerose banche dati online accessibili da chiunque. In questo senso, si può affermare con certezza che «questa facilità di accesso […] è anche la più grande fonte di rischio delle pubblicazioni online, suscettibili di indicizzazione, riproduzione decontestualizzata, alterazione, finanche manipolazione». Si deduce, quindi, che la necessità di conoscere i principi giuridici non vale i rischi legati alla rivelazione dei dati sensibili di una persona.

Un buon compromesso è proprio l’anonimizzazione dei dati sensibili, in quanto è capace di unire un’ampia accessibilità con il diritto alla riservatezza dei soggetti interessati in un processo.

D’accordo con l’analisi fatta da Soro, sui nostri articoli e iltuoforo.net garantiamo la cancellazione dei dati sensibili delle parti.

Il nostro obiettivo è sì quello di fornire la più completa banca dati dedicata alla Giurisprudenza di Merito in materia Civile e Lavoro, ma anche quello di garantire la riservatezza delle parti. Un utile compromesso per un grande risultato in termini di tutela.

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