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Il riempimento abusivo

Nella sentenza n. 1/2018 del Tribunale di Udine la parte attrice richiede non solo l’accoglimento della querela di falso ma anche il riconoscimento dell’abusività del documento impugnato, in quanto abusivo riempimento di foglio firmato in bianco.
Tenendo a mente che la querela di falso è un procedimento di natura civilistica, che serve a far accertare e dichiarare la falsità di un atto  che sarebbe pregiudizievole per la parte che intende proporre la querela, il querelante non nega la provenienza della sottoscrizione in essa presente, sostenendo sic et sempliciter che la firmataria non abbia mai scritto o fatto scrivere il testo apposto sopra la firma.
Come noto, dopo la proposizione della querela il giudice richiede al soggetto se vuole avvalersi del documento o meno; nel caso di specie la convenuta ha confermato la volontà di volersi avvalere del documento con la consequenziale autorizzazione della querela, stante la rilevanza del documento impugnato.
Il giudizio quindi prosegue.
La parte attrice contesta che il documento in questione sia stato ricavato da modelli di aliquota IVA ridotta che la convenuta è solita inviare alle imprese coinvolte in imprese edili presso la propria azienda agricola.
Non solo; è evidenziato il fatto insolito di impiegare una tale tipologia modulistica per redigere un contratto di comodato e infine si contesta la partecipazione all’atto dell’altro comproprietario dell’immobile.
Nonostante le molteplici e diffuse evidenze poste in essere da parte attrice, il giudice delibera il rigetto della querela in questione.
Dapprima è ravvisato  che le dichiarazioni rese per giustificare il regime IVA agevolato devono essere conservate in originale dalle imprese destinatarie e perciò la querelante avrebbe almeno dovuto elencare i soggetti a cui ha rilasciato simili attestazioni.
In secundis la convenuta ha dimostrato che non era infrequente che la madre sottoscrivesse testi compilati dalla prima oppure riutilizzasse moduli o fogli preesistenti per inserire proprie comunicazioni o proposte contrattuali dirette anche alla stessa convenuta.
Eppure quello che ha presumibilmente condotto il giudice nella direzione del rigetto è la deduzione a fini fiscali della comproprietaria di aver dato alla convenuta l’immobile in uso gratuito.
A norma dell’art 226 c.p.c. il giudice «ordina la restituzione del documento e dispone che, a cura del cancelliere, sia fatta menzione della sentenza sull’originale o sulla copia che ne tiene luogo; condanna inoltre la parte querelante a una pena pecuniaria non inferiore a due euro e non superiore a venti euro». Nel caso di specie la condanna del querelante soccombente è al pagamento della modica cifra di 10 euro.
In sostanza perdere una querela costa meno di una cena in un all you can eat.

Leggi il testo integrale – Tribunale di Udine, sentenza n. 1/2018

 

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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