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Avvocato generale Corte UE: non si possono discriminare i coniugi omosessuali

Può la legislazione locale di un paese membro dell’Ue andare a ostacolare la libertà di circolazione garantita dagli Stati membri dell’Unione?
A quanto pare sì, ma a torto.
Il caso è quello di R.A.C., cittadino romeno, e R.C.H., cittadino americano. I due convivono negli USA per quattro anni, per poi sposarsi a Bruxelles nel 2010. Nel 2012 decidono di chiedere alle autorità romene il rilascio dei documenti utili affinché R.C.H. potesse vivere assieme al coniuge in Romania.
Sebbene la domanda fosse fondata sulla direttiva riguardante la libera circolazione dei cittadini all’interno dell’Unione («Il coniuge di un cittadino dell’Unione deve poter raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna»), le autorità locali hanno deciso di non concedere a R.C.H. il diritto di soggiorno. Motivo: il soggetto non può figurare come ‘coniuge’ di un cittadino dell’Unione, in quanto la normativa romena non riconosce i matrimoni omosessuali.
I due decidono di portare il caso all’attenzione della Curtea Constitutională romena, la quale ha chiesto alla Corte di giustizia se a R.C.H., in qualità di coniuge di un cittadino dell’Unione, debba essere concesso il diritto di soggiorno.
L’avvocato generale, nelle sue conclusioni, prova a chiarire il caso: secondo lui non si tratta di una vicenda legata al riconoscimento o meno dei matrimoni omosessuali, quanto una questione che ha a che fare con la pura normativa sulla libera circolazione delle persone. Uno Stato membro, a livello locale, ha sì la libertà di riconoscere o meno tale forma di matrimonio, ma non può interferire con normative comuni a tutti gli Stati. La normativa sulla libera circolazione vale per tutti gli Stati, a prescindere dal luogo in cui i coniugi hanno celebrato le nozze. Il titolo di ‘coniuge’, all’interno della norma europea, si riferisce a un rapporto fondato sì sul matrimonio ma senza distinzione alcuna sul sesso dei coinvolti.
Come se non bastasse, l’avvocato generale decide poi di affondare il coltello dritto nella legislazione europea. Vista l’evoluzione generale della società degli Stati membri, afferma, è inaccettabile una giurisprudenza condivisa in cui «il termine “matrimonio” secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, designa un’unione tra due persone di sesso diverso». L’accezione di ‘coniuge’ è connessa alla vita familiare, spiega, la quale viene tutelata secondo la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Inoltre, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto il fatto che 1) le coppie omosessuali possono avere una vita familiare, 2) alla coppie omosessuali deve essere offerto il riconoscimento legale e la tutela giuridica. In questo senso il termine ‘coniuge’ va a comprendere anche i coniugi dello stesso sesso, con conseguenza diretta che una persona avente un coniuge dello stesso sesso e cittadino dell’Unione può soggiornare nello Stato in cui il compagno/compagna ha stabilito la propria residenza. Il tutto esercitando la libertà di circolazione.
Una conclusione che vale per tutti gli Stati membri, soprattutto per quello di origine (in questo caso, per R.A.C., la Romania).
 

Fonte: IlSole24Ore
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