Penale

Attentato di Macerata: ipotesi di infermità mentale per Luca Traini

Si delineano i contorni dell’infermità mentale per quanto riguarda la difesa di Luca Traini, l’autore della cosiddetta “strage di Macerata” per il quale è stato convalidato l’arresto. È quanto si evince dalle parole dell’avvocato Giulianelli, il quale appare essere molto fermo riguardo questa linea difensiva.
È possibile, alla luce degli eventi, il riconoscimento di tale condizione?
Innanzitutto occorre ricordare la definizione di infermità mentale, ovvero quei disturbi mentali comportanti l’alterazione di una o più funzioni psichiche e l’agito di una particolare sintomatica. Essa, secondo il nostro ordinamento, può assumere due diversi profili:

  1. vizio totale di mente: stando all’art. 88 c.p., colui che ha commesso il fatto era, causa alterazione mentale, totalmente incapace di comprendere e di volere. In questo caso il soggetto non viene punito, ma può essere destinato in un REMS nel caso venga riconosciuta la sua pericolosità sociale (legge 30 maggio 2014, n. 81);
  2. vizio parziale di mente: stando all’art. 89 c.p., colui che ha commesso il fatto era, causa alterazione mentale, parzialmente incapace di intendere e di volere. Il soggetto risponde del reato, ma in misura minore.

Traini era davvero incapace di intendere e di volere mentre sparava? Partendo dai fatti, vi sono alcune considerazioni da fare a riguardo.
In primo luogo, l’avvocato afferma che dai primi colloqui fatti sembrerebbe che la “personalità borderline” di cui il giovane si vantava fosse frutto solo di «frasi dette da un’amica alle prime armi in psicologia». Lo stesso, però, tende a sottolineare che «Luca è stato segnato dai traumi familiari e dall’obesità in adolescenza da cui è derivata la sua ossessione di riscattarsi con la palestra per avere un fisico scolpito».
Il secondo elemento che potrebbe validare la tesi difensiva è lo stato di disordine in cui versava la stanza di Traini quando i Carabinieri hanno eseguito la perquisizione di rito, coadiuvato alla presenza di una copia del Mein Kampf e di pubblicazioni e orpelli di stampo fascista e nazista.
Sono due motivazioni che da sole non possono reggere. Non può certo essere la lettura del Mein Kampf – cosa che può avvenire anche solo per motivi di studio – o un po’ di disordine in casa a far propendere il giudice verso il riconoscimento dell’infermità mentale. Fondamentale è riuscire a scoprire le sensazioni provate dall’imputato nel momento stesso in cui l’azione veniva svolta.
Il terzo aspetto, contrariamente ai primi due, sembra essere quello decisivo: il pentimento.
L’unico segno di rimorso mostrato da Traini è stato nei confronti della ragazza ferita: «Come sta la ragazza? Non volevo colpirla». Per le altre cinque vittime, invece, sembra mancare qualsiasi sentimento, e questo a partire dalla consapevolezza di quanto fatto: «Volevo vendicare Pamela e fare qualcosa contro l’immigrazione, l’immigrazione clandestina va stroncata», avrebbe affermato.
L’avvocato Giulianelli, invece, è di tutt’altro parere: «Non si è pentito: ci si può pentire solo se si è consapevoli di quello che si fa». Oppure, vedendola in un’altra maniera, ci si può pentire solo di quanto si reputa sbagliato.
Contrariamente a quanto afferma la difesa, sembra che Traini fosse ben conscio di quanto stesse facendo. La descrizione di quanto avvenuto, infatti, è cristallina: «Mi sono svegliato alle 8.30, avevo preso l’auto per andare in palestra, ma poi lungo il tragitto ho sentito alla radio che parlavano di nuovo del male fatto a Pamela da quel nigeriano e in quel momento non ci ho visto più. Sono tornato a casa di mia nonna Ada a Tolentino, ho aperto la cassaforte, ho estratto la Glock che detengo per uso sportivo, una scatola da 50 colpi e i due caricatori con una decina di pallottole ciascuno. Volevo ucciderli tutti». Un’analisi lucida che, se accostata alla mancanza di pentimento, può portare alla conclusione che Traini ritenesse (e ritenga ancora) ciò che ha fatto come una azione quanto meno legittimata dallo stato delle cose. Oltremodo, dopo la sparatoria, si è recato presso il luogo dove era stato ritrovato il corpo di Pamela Mastropietro per fare una preghiera in suo onore (lasciandovi un cero votivo di Mussolini).
Senza dubbio, lo psicopatologo forense avrà il suo bel da farsi. Non ci rimane che seguire la vicenda in attesa di ulteriori sviluppi.

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emanuelesecco

Dottore in Editoria e Giornalismo. Appassionato di scrittura, editoria (elettronica e digitale), social media, musica, cinema e libri. Viaggio il più possibile, ma Budapest è sempre nel cuore.

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