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Note di variazione IVA nelle procedure concorsuali

Il momento di emissione della nota di variazione ex art.26 dpr 633/1972 per crediti nei confronti di soggetti ammessi a procedura concorsuale: una lettura critica della norma di comportamento n.192 AIDC

La norma di comportamento n.192 AIDC è tornata ad affrontare il problema della emissione delle note di variazione per il recupero dell’IVA nelle procedure concorsuali in un’ottica di diritto comunitario e di allineamento alla normativa interna in tema di imposizione diretta, giungendo a conclusioni opposte rispetto a quelle sinora sostenute dall’amministrazione finanziaria.

Come noto, infatti, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata espressamente sul punto con la risalente Circolare n.77/E/2000, stabilendo che il momento da cui fare partire il termine per l’emissione della nota di variazione ex art.26 decorre, in caso di dichiarazione di fallimento, a seguito della ripartizione finale dell’attivo, in particolare decorsi 10 giorni dal deposito in cancelleria del piano di riparto, ovvero dopo 15 giorni dal decreto di chiusura: in caso di concordato fallimentare o preventivo, dopo 15 giorni dall’affissione della sentenza di omologazione del concordato.

La ratio di tale limitazione è legata alla considerazione che nelle procedure esecutive, trattate nel medesimo art.26, il beneficio della detrazione è legato alla infruttuosità delle procedure stesse, cioè al momento nel quale il creditore procedente rimane insoddisfatto, il che si verifica di norma al termine della esecuzione. Per analogia, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto che anche nelle procedure concorsuali si dovesse posticipare la facoltà di emissione della nota di variazione, con conseguente recupero dell’IVA, al momento di chiusura della procedura, quando, cioè, si sa con certezza che nessuna somma verrà attribuita al creditore concorsuale in sede di riparto.

Tale posizione dell’amministrazione finanziaria è stata ribadita in sede di risposta ad interpello (1) e ulteriormente ripresa nella RM 5 maggio 2009 n.120/E (2).Va ricordato, infatti, che il comma 2 dell’art. 26, citato, consente al fornitore di emettere le note di variazione, per importi già fatturati, quando si verifica il mancato pagamento, in tutto o in parte, delle somme addebitate, per l’effetto di procedure esecutive o concorsuali.

La rettifica IVA secondo la Direttiva Comunitaria n. 2006/112/CE.

Tale facoltà, disposta dalle legislazione italiana, in sede comunitaria assume valore di obbligo: dispone, infatti, l’art.90 della Direttiva n.2006/112/CE del 28 novembre 2006 che la rettifica debba essere eseguita «in caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri» (3); il successivo art.185 della citata Direttiva stabilisce, altresì, che «la rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione iva, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo».

Dal combinato disposto delle citate norme, appare evidente come la legislazione comunitaria imponga (e non dia facoltà) al verificarsi di eventi che modifichino, in tutto o in parte, l’originaria operazione economica, la rettifica della detrazione IVA inizialmente operata.

A parere dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti di Milano (norma di comportamento n.192 AIDC), l’art.26 del dpr 633/1972 non ha recepito in maniera corretta le due citate disposizioni comunitarie, in quanto la norma interna prevede la facoltatività della rettifica, mentre le norme comunitarie ne prescrivono l’obbligatorietà: in secondo luogo, l’art.26 limita la rettifica alle ipotesi in cui il mancato pagamento derivi da procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose, mentre gli articoli 90 e 185 della citata Direttiva fanno generico riferimento ad operazioni totalmente o parzialmente non pagate.

È vero, d’altra parte, che l’art.186 della Direttiva citata dispone che «Gli Stati Membri determinano le modalità di applicazione degli articoli 184 e 185», ma è altresì vero che tale discrezionalità del legislatore interno non può risolversi in un conflitto con il principio fondamentale del sistema IVA, per cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto.

Da tali presupposti, la norma AIDC desume che l’art.26 c.2 del dpr 633/1972 debba essere integrato, sotto il profilo del momento di emissione della nota di variazione, dalle indicazioni delle norme della Direttiva comunitaria, e quindi in concomitanza temporale con l’accadimento che genera la variazione (4), ovvero in un momento temporalmente coincidente con l’accertamento della irrecuperabilità del credito.

Il punto cruciale della norma AIDC è il passaggio volto ad individuare il riferimento temporale per l’esercizio della rettifica IVA da parte del cedente.

La soluzione è individuata nell’allineamento alla normativa vigente in tema di imposte sui redditi, la quale, all’art.101, c.5, T.U I.R., subordina la deducibilità delle perdite su crediti alla sussistenza di elementi certi e precisi, e in ogni caso «se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali»: sotto il profilo temporale, si precisa che il «debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento…o dal decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo». (5)

La definitività della perdita, legata all’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza del debitore, determina, quindi, l’obbligatorietà, ai sensi della normativa comunitaria, della emissione della nota di variazione ex art.26 dpr 633/1972 per l’IVA addebitata in fattura, il cui imponibile viene rilevato come perdita fiscale ex art.101, c.5 TUIR.

A questo punto si pone, tuttavia, un duplice problema di contrasto da un lato con la formulazione letterale dell’art.26, la quale condiziona la rettifica al mancato pagamento «a causa di procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose», e dall’altro con la chiara indicazione fornita dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare n.77/E/2000, citata, che individua nell’approvazione del piano di riparto, in ipotesi di fallimento, ovvero nella chiusura della liquidazione, in ipotesi di concordato preventivo, il momento in cui il credito può qualificarsi non più riscuotibile, e quindi la procedura concorsuale può dirsi infruttuosa.

La norma AIDC suggerisce di risolvere il contrasto sostenendo innanzitutto che l’infruttuosità si riferisce solo alle procedure esecutive, e non anche a quelle concorsuali (6).

L’evoluzione normativa dell’art. 26 del dpr 633/1972

Per comprendere meglio il significato dell’art.26 del D.P.R. n. 633/1972 vale la pena di ripercorrerne brevemente l’evoluzione normativa.

Nell’originaria formulazione dell’art. 26 non veniva fatto alcun cenno alle procedure concorsuali e, pertanto, se la fattura era stata emessa nei confronti di un soggetto successivamente dichiarato fallito, il cessionario non aveva alcuna immediata possibilità di recuperare l’IVA che era stato costretto ad anticipare all’Erario, dovendo attendere la liquidazione in sede di riparto: inoltre, se i beni oggetto della cessione o ai quali si riferiva il servizio non erano stati inventariati o comunque acquisiti all’attivo fallimentare, ai crediti di rivalsa per il pagamento dell’IVA, dovuta al cedente o al prestatore di servizi, non veniva riconosciuto il privilegio speciale ex art. 2758, secondo comma, c.c., bensì solo il privilegio generale ex art. 2752, secondo comma, c.c..

A fronte di questa situazione, sul versante delle imposte dirette esisteva, invece, la norma dell’art. 66, comma 3, del T.U.I.R. che consentiva l’immediata deducibilità dei crediti vantati nei confronti di imprese assoggettate a procedure concorsuali.

Nell’intento di armonizzare la disciplina IVA a quella vigente nel settore delle imposte dirette, il D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, introdusse nell’art. 26, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, la facoltà di portare in detrazione, ai sensi dell’art. 19 del citato decreto, l’imposta IVA corrispondente alla variazione dell’operazione originariamente fatturata e prodottasi a causa «dell’avvio di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose».

La novella legislativa fin da subito si rilevò poco felice nella individuazione del dies a quo per l’emissione della nota di variazione, in particolare per quel collegamento semantico con l’infruttuosità delle procedure esecutive che rendeva problematico il realizzarsi di una tale verifica in limine alla apertura della procedura concorsuale.

È noto come la formulazione descritta provocò le più varie interpretazioni da parte dei Tribunali fallimentari (7), investiti del problema dai curatori che venivano sommersi dalle note di variazione dei creditori, anche per importi rilevanti, vista la indeterminatezza del dettato legislativo.

Così vennero prospettate le diverse soluzioni al problema dell’individuazione del momento in cui era possibile emettere le note di variazione, se subito dopo la sentenza di fallimento, ovvero in sede di verifica dello stato passivo, o ancora solo una volta reso esecutivo lo stato passivo, ovvero solo dopo il decreto di chiusura, o ancora in qualsiasi momento della procedura.

Il legislatore giunse nel frattempo alla modifica, ad opera del D.L. 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, dell’art. 26 del D.P.R. n.633/1972, eliminando la dizione “avvio” dell’inciso del secondo comma: la norma conseguentemente appariva di un tenore tale da consentire interpretazioni aggettivizzanti dell’infruttuosità sia con conferimento alle procedure concorsuali, che alle procedure esecutive.

L’interpretazione dell’art. 26 secondo la norma n. 192 AIDC

Fatte queste brevi ma doverose premesse sulla genesi dell’attuale testo dell’art. 26 va precisato che la stessa AIDC, nella nota 9, precisa che l’originale formulazione dell’art.26, anteriore alle modifiche operate dal DL 79/1997, consentiva l’emissione della nota di credito «per mancato pagamento in tutto o in parte a causa dell’avvio di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose»: proprio la eliminazione della locuzione “avvio”, che sembrerebbe deporre per una chiara volontà del legislatore di eliminare ogni riferimento al momento temporale dell’apertura della procedura concorsuale, viene, al contrario, valorizzato dall’AIDC come «volontà del legislatore di non far riferimento al mero avvio della procedura concorsuale, e non può pertanto essere intesa come estensione del requisito dell’infruttuosità (richiesto per quelle individuali) anche alle procedure concorsuali».

Come ulteriore elemento a conforto della propria tesi, l’AIDC propone un ragionamento a contrario, affermando che vincolare, come prescrive l’Agenzia delle Entrate nella CM.77/2000, l’emissione della nota di variazione alla approvazione del riparto finale, «genera uno squilibrio del principio di neutralità, considerato che l’amministrazione, una volta rilevata l’emissione della nota di variazione, non può più insinuarsi come creditore al passivo fallimentare, essendo la procedura già conclusa».

In effetti l’Agenzia delle Entrate, nelle risoluzioni n.155 del 12 ottobre 2001 (in tema di fallimento) e n.161 del 17 ottobre 2001 (in tema di concordato preventivo) ha precisato che l’IVA. risultante dalle note di variazione emesse nei confronti del fallimento dai creditori rimasti insoddisfatti a seguito della ripartizione finale dell’attivo resta a carico dell’Erario: il curatore fallimentare non avrà altri obblighi se non quello di registrare le note di variazione in modo da determinare il debito d’imposta, che però potrà essere recuperato dall’amministrazione finanziaria unicamente nei confronti del fallito, una volta rientrato in bonis.

Ciò significa che le note di variazione di cui all’art. 26 del d.p.r. n. 633/1972 non fanno sorgere in capo alla procedura fallimentare un debito per l’IVA evidenziata nelle note stesse, ma determinano unicamente in capo al curatore l’obbligo di provvedere alla registrazione della variazione in aumento nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi (8).

Conclusioni

La norma di comportamento AIDC n.192 apre interessanti scenari in ordine ad una interpretazione dell’art.26 del dpr 633/1972 più rispettosa della disciplina comunitaria, in particolare ricostruendo il profilo temporale di emissione della nota di variazione nei confronti di soggetti ammessi a procedura concorsuale a partire dall’apertura della procedura stessa. Deve tuttavia, essere tenuto in debito conto la formulazione letterale dell’art.26, che fa riferimento alla infruttuosità come presupposto per la emissione della nota di variazione, individuandola, nel caso delle procedure concorsuali, al momento in cui il credito risulta effettivamente non soddisfatto, quindi successivamente al riparto finale: posizione, questa, espressamente riconosciuta dall’amministrazione finanziaria, e ad oggi dalla stessa non superata.


1 RM 12/10/2001 n.155/E, in Corriere Tributario n.4/2002, p.356, con commento di S.Zenati “Debito IVA da note di variazione emesse nei confronti di procedure concorsuali”.
2 in Il Fallimento n.26/2009, p.2093, con commento di S.Zenati “Possibile la nota di variazione IVA per il credito pro soluto insinuato nello stato passivo fallimentare”.
3 Nel senso che l’Amministrazione non possa riscuotere a titolo di IVA un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo, cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza 26/1/2012, causa C-588/10, Kraft Foods Polska, punti 26 e 27.
4 In senso conforme Cass n.5568/1996.
5 Ai sensi dell’art. 101, co. 5, D.P.R. 917/1986, ai fini fiscali, il momento di deducibilità delle perdite sui crediti verso clienti assoggettati alla procedura di concordato preventivo è dato dalla data del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo (cfr. S.Zenati “Procedure concorsuali: sopravvenienze attive e perdite su crediti” in Guida ai controlli fiscali ed. Il Sole 24 Ore è n.9 settembre 2012 ).
Sotto il profilo civilistico, tuttavia va sempre verificata, anche nel caso di perdite relative a procedure concorsuali, l’applicazione del principio di competenza di cui all’art.109 del Tuir, che subordina la deduzione dei componenti negativi dal reddito d’impresa all’iscrizione degli stessi nel conto economico dell’esercizio di competenza, ma prescrive altresì il rinvio della deduzione per quelli di cui non sia certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare.
Nella sentenza 29 ottobre 2010, n. 22135, in senso conforme, la Corte di Cassazione ha affermato che il periodo d’imposta di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista la certezza che il credito non può essere soddisfatto. Ne deriva che la perdita su crediti non deve essere dedotta necessariamente o comunque per intero nell’esercizio in cui la procedura concorsuale si è aperta, ma quello costituisce il momento iniziale per poter procedere alla rilevazione della perdita nel rispetto del principio di competenza.
Tale interpretazione è ribadita nella Circolare n. 26/E/2013: “
Con riferimento alla quantificazione della perdita deducibile, poiché < la disposizione contenuta nel comma 5 dell’art. 101 del T.U.I.R. non dispone regole particolari, si ritiene applicabile il principio generale di derivazione da bilancio. Pertanto, in presenza di una delle procedure sopra descritte, sarà deducibile una perdita su crediti di ammontare pari a quello imputato a conto economico (evidentemente inferiore o al massimo uguale al valore del credito)».
6 In senso nettamente contrario si esprime la Circolare Assonime del 5 giugno 1997 n.64, e la più volte citata CM N.77/2000.
7 Trib. Torino, 19 dicembre 1997, in I Quattro codici della Riforma Tributaria big, cd-rom IPSOA; Trib. Pordenone, 10 luglio 1997, in Il fallimento, 1998, pag. 527; Trib. Lucca, 10 ottobre 1997, in Il fisco 1998, pag. 5169; Trib. Modena, 16 settembre 1997, in Boll. Trib., 1997, pag.1498.
8 Questo della registrazione è l’unico adempimento contabile rimesso al curatore: infatti, poiché le note di variazione pervenute al curatore non riguardano operazioni poste in essere dalla procedura, ma vengono registrate solo per rilevare il credito erariale, esigibile solo nei confronti del fallito una volta rientrato in bonis, a carico del curatore fallimentare non sono posti ulteriori adempimenti in termini di dichiarazioni periodiche ed annuali.

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