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Affidamento in prova: presenza sul territorio del reo non decisiva

È possibile che un Tribunale possa confondere il concetto di residenza con quella di reperibilità del condannato?
La questione è sollevata poiché il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta di un soggetto; non poteva essere eseguita una misura alternativa se il soggetto si era trasferito da due anni, risultando occasionale il suo rientro in Italia.
Nella specie, dopo essere stato condannato a un anno di reclusione, si vedeva rigettare l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale.
Nella convinzione che la detenzione debba essere considerata l’extrema ratio per il reo, la finalità principale di tale misura alternativa è quella di consentire al condannato di espiare la pena detentiva, inflitta o residua, in regime di libertà assistita e controllata fuori dall’istituto carcerario
Chiarito ciò, va affermato che il Tribunale si è diretto in tal senso reputando decisiva l’assenza del reo in Italia; dopo aver accertato la residenza del colpevole in Olanda, non ha valutato necessario entrare nel merito dell’istanza.
In realtà il principio che doveva essere seguito era esattamente opposto, non limitandosi al mero dato oggettivo ma facendo un piccolo sforzo ulteriore, valutando la situazione in toto.
L’attualità della presenza del condannato in Italia, al momento della domanda, non aveva alcun rilievo; ciò che andava verificato in concreto era se la misura dell’affidamento in prova, una volta accertata la sussistenza dei presupposti di legge, potesse, o meno, avere regolare svolgimento sul territorio nazionale.
Quali sono questi presupposti di legge?

  • non devono essere previsti più di 4 anni da espiare o di condanna;
  • valutazione della personalità del condannato: per un mese nell’istituto carcerario, se in prigione, per un periodo non prestabilito per il soggetto in libertà, ovviamente dopo la commissione del reato.

Tenuto conto che il soggetto era espatriato per necessità lavorative sottese al mantenimento della propria famiglia, tenuto conto che il ricorrente si era sempre detto disponibile a un ritorno in Italia, tenuto conto che riferiva la disponibilità attuale di un alloggio e di un’offerta lavorativa in Italia, non può certo essere negata la misura alternativa al carcere.
La Cassazione dispone quindi l’annullamento della precedente sentenza, con rinvio ad altro giudice.

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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