Penale

Come si determina la competenza territoriale dei reati associativi?

Per individuare la competenza territoriale in ordine ai reati associativi, si deve avere riguardo al posto in cui hanno avuto luogo la programmazione, l’ideazione e la direzione dell’associazione.

Nota a Cass. pen., sez. II, sentenza ud. 22 settembre 2015 (dep. 5 ottobre 2015), n. 39895, Pres. A. Esposito, Giud. estens. A. Pellegrino.

Nella sentenza n. 39895 emessa dalla seconda sezione della Corte di Cassazione in data 29 settembre 2015, è stato affrontato il delicato tema inerente la competenza territoriale in materia di reati associativi1.

Nella fattispecie in esame, la difesa censurava “l’ordinanza impugnata che, nella determinazione della competenza territoriale, ha applicato il criterio di cui all’art. 8 c.p.p., comma 3, pur se dagli atti emergeva che il luogo di consumazione del reato non era individuabile con certezza sulla base di tale criterio” anche perché “la giurisprudenza afferma che il luogo di inizio della consumazione del delitto di associazione per delinquere rilevante ai fini della determinazione della competenza per territorio è quello in cui è stato commesso il primo dei delitti programmati”.

Secondo la difesa, di conseguenza, “l’impossibilità di individuare con certezza il luogo di consumazione del reato, avrebbe dovuto imporre l’applicazione dei criteri suppletivi di cui all’art. 9 c.p.p., con conseguente rilievo dell’iscrizione più remota, riconducibile, secondo quanto affermato nell’ordinanza, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di omissis”.

Ciò posto, il Supremo Consesso ha ritenuto infondato tale motivo di ricorso sulla scorta di un articolato ragionamento giuridico.

La Corte, infatti, prima di enunciare le ragioni per cui ha stimato necessario disattendere quanto prospettato dalla difesa, ha ripercorso i tre principali orientamenti nomofilattici con cui venne trattato il tema inerente la competenza territoriale inerente i reati associativi.

Difatti, la Cassazione, nella sentenza in commento, prese atto “del fatto che, con riguardo all’individuazione della competenza per territorio in relazione ai reati associativi, la giurisprudenza sia stata – almeno in passato – estremamente divisa, essendo enucleatali nel suo ambito orientamenti che evocano almeno tre distinti criteri”.

Precisamente, secondo un primo approdo interpretativo, si deve avere riguardo al “luogo in cui l’associazione si è costituita” sostenendosi, in particolare, che “il delitto di associazione per delinquere (art. 416 c.p.), reato di natura permanente, si consuma nel momento e nel luogo di costituzione del vincolo associativo diretto allo scopo comune; ove difetti la prova relativa al luogo ed al momento della costituzione dell’associazione, soccorre il criterio sussidiario e presuntivo del luogo del primo reato commesso o, comunque, del primo atto diretto a commettere i delitti programmati; ove non sia ancora possibile determinare la competenza per territorio secondo le regole innanzi descritte, deve attribuirsi rilievo al luogo in cui fu compiuto il primo atto del procedimento (Sez. 4, sent. n. 35229 del 07/06/2005, Rv. 232081); nel medesimo senso, sempre con riguardo all’associazione ex art. 416 c.p., Sez. 2, sent. n. 26285 del 03/06/2009, Rv. 244666, per la quale “la determinazione della competenza territoriale per il reato associativo è affidata, in difetto di elementi certi in ordine alla genesi del vincolo associativo, a criteri presuntivi che guardano al luogo in cui il sodalizio criminoso si è manifestato per la prima volta, o a quello in cui si sono concretizzati i primi segni di operatività”, ragionevolmente utilizzabili come elementi sintomatici della genesi dell’associazione nello spazio; privo di rilievo è, invece, il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del pactum sceleris (così, Sez. 3, sent. n. 35521 del 06/07/2007, Rv. 237397, relativa ad un’associazione d.P.R. n. 73 del 1943, ex art. 291 quater; conformi, Sez. 6, sent. n. 26010 del 23/04/2004, Rv. 229972; Sez. 1, 18/12/1995, omissis, Rv. 203609; Sez. 1, 24/04/2001, omissis, Rv. 219220, per la quale il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, ai sensi dell’art. 8 c.p.p., comma 3, coincide con il luogo di costituzione del sodalizio criminoso a prescindere dalla localizzazione dei reati fine eventualmente realizzati: in applicazione del principio”.

Secondo un secondo indirizzo interpretativo, invece, si deve fare riferimento al “luogo in cui l’associazione ha iniziato concretamente ad operare” avendo la Corte rilevato, nella pronuncia in argomento, che tale “criterio è stato accolto, con riguardo all’associazione ex art. 416 c.p., da Sez. 3, sent. n. 24263 del 10/05/2007, Rv. 237333 (“la competenza per territorio per il reato permanente di associazione per delinquere va attribuita al giudice del luogo in cui la consumazione del reato ha avuto inizio, il quale coincide con il momento in cui l’operatività del sodalizio criminoso divenga esternamente percepibile per la prima volta, non con quello della costituzione del sodalizio”); conformi, Sez. 1, 25/11/1992, omissis, Rv. 192783, per la quale “la competenza territoriale a conoscere dei reati associativi si radica nel luogo in cui la struttura associativa, destinata ad operare nel tempo, diventa concretamente operante e a nulla rileva il sito di consumazione dei singoli delitti oggetto del pactum sceleris”, e Sez. 1, sent. n. 45388 del 07/12/2005, Rv. 233359, per la quale, peraltro, “qualora non emerga con chiarezza il luogo in cui l’associazione opera o abbia operato, e non sia possibile far ricorso al luogo di consumazione dei reati – fine, trova applicazione l’art. 9 c.p.p., comma 3″.

Infine, secondo un terzo filone interpretativo, la competenza territoriale può essere ravvisata in relazione al “luogo in cui hanno avuto luogo la programmazione, ideazione e direzione dell’associazione” essendo stato constatato, sempre nella pronuncia in esame, come questo criterio sia stato “accolto da Sez. 1, 25/11/1996, omissis, Rv. 206261, riguardante plurime associazioni per delinquere ex art. 416 bis c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, per la quale, al fine della determinazione della competenza per territorio di un reato associativo, occorre far riferimento al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono le attività di programmazione e di ideazione riguardanti l’associazione, essendo irrilevante il luogo di commissione dei singoli reati riferibili all’associazione; tuttavia, qualora ci si trovi in presenza di un’organizzazione criminale composta da vari gruppi operanti su di un vasto territorio nazionale ed estero, i cui raccordi per il conseguimento dei fini dell’associazione prescindono dal territorio, né sono collegati allo stesso per la realizzazione dei suddetti fini, la competenza per territorio in ordine al reato associativo non può essere individuata sulla base di elementi i quali, pur essendo rilevanti ai fini probatori per l’accertamento della responsabilità degli imputati, non risultano particolarmente significativi ai fini della determinazione della competenza territoriale, essendo in contrasto con altri elementi ben più significativi, i quali lasciano desumere che il luogo di programmazione e di ideazione dell’attività riferibile all’associazione non possa essere individuato con certezza”.

Orbene, gli ermellini, in questa pronuncia, hanno aderito a questo terzo indirizzo interpretativo affermando espressamente che questa “sezione (cfr., sent. n. 22953 del 16/05/2012, omissis, Rv. 253189) ha da tempo aderito al terzo orientamento, con affermazione di principio che il Collegio condivide pienamente”.

Posto ciò, la Corte ritenne legittima l’ordinanza emessa in sede de libertate considerando corretta la valutazione decisoria ivi compiuta ossia quella di far coincidere il luogo, in cui radicare la competenza territoriale nel territorio in cui si trovava quell’organizzazione criminale, con quello in cui si erano svolte “la programmazione e l’ideazione delle condotte, e dove si sia concentrata la direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio di riferimento, quali successivamente manifestatesi all’esterno, rimanendo irrilevanti, ai fini che qui interessano, le diverse localizzazioni di singole operazioni illecite strumentali all’attività dell’associazione (v., da ultimo, Sez. 1, sent. n. 20908 del 28/04/2015, dep. 20/05/2015, omissis, Rv. 263612, nello stesso senso, Sez. 5, sent. n. 44369 del 13/03/2014, dep. 24/10/2014, omissis, Rv. 262920)”.

Ebbene, senza entrare nel merito di quale delle interpretazioni summenzionate sia da considerarsi preferibile, pare evidente, ad avviso di chi scrive, come ciascuna di queste tesi possa fondarsi su valide ragioni giuridiche.

Secondo la prima tesi interpretativa, dal momento che è stato rilevato che la “completa autonomia del reato associativo comporta che l’individuazione del momento e del luogo in cui i singoli soggetti hanno realizzato le condizioni per costituirsi in associazione, rappresenta il criterio generale che deve presiedere alla determinazione della competenza territoriale”2 e quindi, alla “alla fase che precede l’attuazione del piano delinquenziale, quella cio” in cui le intese intersoggettive si sono stabilizzate in un vincolo duraturo, che bisogna avere riguardo, poiché in tale fase si colloca l’inizio della consumazione del reato, rilevante per l’individuazione del giudice competente territorialmente”3 in quanto “la fase attuativa del programma, invece, può valere solo a disvelare la trama dei rapporti di cui l’associazione è intessuta e, quindi, a fornire la prova della sua esistenza4, tale orientamento nomofilattico trova conferma alla luce di quell’indirizzo interpretativo alla stregua del quale “il delitto di cui all’art. 416 c.p. è configurabile anche ove l’attività illecita costituente il fine del sodalizio sia programmata a tempo purché, come verificatosi nella specie, con precostituzione di congrua struttura organizzativa ed in vista della consumazione di un numero non determinato a priori e tendenzialmente indefinito di episodi truffaldini, sia pure nell’arco di tempo prefissatosi dagli associati5 proprio perché, con questo principio di diritto, viene evidenziato come la costituzione di una consorteria criminale possa configurare il delitto di associazione a delinquere ancor prima che quella consorteria criminale inizi ad operare.

Secondo il secondo indirizzo interpretativo, essendo stato affermato che, “ai fini della determinazione della competenza territoriale in procedimenti connessi, uno dei quali riguardi il delitto d’associazione per delinquere, reato di natura permanente, la competenza va di regola determinata con riferimento al luogo in cui si è realizzata l’operatività della struttura organizzativa, (?)” Cassazione Sezione 1, n. 4388/2005, RV. 233359″6 in quanto nel vigente sistema processuale la connessione costituisce un criterio originario ed autonomo di determinazione della competenza, per cui vale la regola della perpetuatio jurisdictionis (Cass., Sez. I, 8 maggio 2003, omissis; Id., 9 gennaio 2003, omissis: Id., Sez. I, 10 dicembre 1997, n. 6933, omissis, in Cass. pen, mass. ann., 1999, n. 529, p. 1162, secondo cui la competenza territoriale a conoscere un reato associativo, che è un reato di natura permanente, si radica nel luogo in cui la struttura associativa, destinata ad operare nel tempo, diventa concretamente operante, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del pactum sceleris”7a meno che non rivelino essi stessi, per il loro numero e consistenza, il luogo di operatività dell’associazione8, tale spiegazione giuridica trova, al pari della precedente, una conferma ermeneutica alla luce di quel filone applicativo secondo il quale “per la configurazione del reato associativo non è necessaria la consumazione di reati fine, ma soltanto un generico programma criminoso che preveda la loro 9 evidenziandosi quindi non solo la necessità che venga costituito un sodalizio criminale, ma che venga anche concepito un programma delinquenziale.

Quanto al terzo filone interpretativo ossia quello secondo cui la competenza territoriale può essere ravvisata in relazione al luogo in cui hanno avuto luogo la programmazione, ideazione e direzione dell’associazione, pur negandosi in talune sentenze che il luogo, in cui si intende venuto in essere il sodalizio criminoso, possa farsi coincidere di norma “con quello di eventuale consumazione dei presunti reati-fine10, in altre pronunce è stato viceversa fatto riferimento ai reati scopo come, ad esempio, nella pronuncia n. 23211 del 2014 in cui venne fatta menzione del luogo “in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura con riferimento alla realizzazione dei primi reati scopo”11.

Chiarito ciò, visto che vi è un indirizzo interpretativo, consolidatosi sulla scorta di quell’arresto giurisprudenziale (così come massimato) formulato nel 200112, con cui è stato affermato che proprio dagli illeciti penali fine può acclararsi l’esistenza di una associazione a delinquere e, precisamente, nella misura in cui da costoro possa manifestarsi “in concreto l’operatività dell’associazione medesima (sez. U. n. 10 del 28/3/2001, Rv. 218376)”13.

Ma se per poter stimare sussistente un delitto associativo è necessario verificarne, anche per il tramite di reati scopo, la sua concreta operatività, va da sé che tale operatività potrà a sua riscontrarsi solo nella misura in cui, come dedotto da questo terzo filone interpretativo, la programmazione, ideazione e direzione dell’associazione abbiano avuto effettivamente inizio.

Difatti, affinché un’associazione possa dirsi pienamente operante, è necessario che sia incominciata la programmazione, ideazione e direzione dell’associazione stessa visto che, senza il verificarsi di tali condizioni, una consorteria criminale non potrà considerarsi mai tale.

I reati fine, quindi, possono consentire di appurare il luogo “in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura”14 e, più precisamente, il “luogo in cui è iniziata e si è sviluppata concretamente la permanenza dell’associazione criminale (cfr. Sez. 1, n. 6648 del 18/12/1995, dep. 02/02/1996, omissis, Rv. 203609; Sez. 3, n. 35521 del 06/07/2007, dep. 25/09/2007, omissis, Rv. 237397)”15.

È chiaro quindi come, essendo ciascun indirizzo interpretativo fondato su argomentazioni giuridiche assolutamente condivisibili in punto di diritto, sarebbe forse necessario e opportuno che su tale contrasto ermeneutico intervenissero le Sezioni Unite.

Infatti, l’esistenza di ben tre indirizzi interpretativi, ciascuno, come visto, sorretto da valide argomentazioni giuridiche, pone sicuramente un problema di certezza del diritto non tollerabile tanto più si considera la gravità delle ipotesi delittuose prese in considerazione in questi casi trattandosi di accertare la competenza territoriale di chi è deputato a giudicare la sussistenza di reati associativi sia in punto di gravità indiziaria (come nel caso di specie), che in punto di sussistenza del fatto.


[1]Sull’argomento, senza nessuna pretesa di completezza espositiva, vedasi: A. LARONGA, La disciplina della competenza nel processo penale, Torino, Utet, 2008, p. 54.
[2]Ibidem.
[3]Ibidem.
[4]Ibidem. Sull’argomento vedasi: G. AMATO, Irrilevante ai fini penali la zona di effettiva operatività (nota a Cass., sez. VI pen., 2 marzo 2006 (ud.); 23 giugno 2006 (dep.) n. 22287, D’A.), in Guida al diritto, fasc. 31, 2006, pag. 74.
[5]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 18 febbraio 2008 (dep. 25 marzo 2008), n. 12681, in CED Cass. pen., 2008
Cass. pen., 2009, 4, 1541.
[6]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 10 maggio 2007 (dep. 20 giugno 2007), n. 24263, in CED Cass. pen., 2008.
[7]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 7 dicembre 2005 (dep. 4 dicembre 2005), n. 45388, in CED Cass. pen., 2005.
[8]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 2 marzo 2006 (dep. 23 giugno 2006), n. 22286, in Il merito, 2007, 7-8, 60.
[9]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 3 aprile 1997 (dep. 29 maggio 1997), n. 5036, in CED Cass. pen., 1997;
Riv. polizia, 1999, 220.
[10]Cass. pen., sez. V, sentenza ud. 13 marzo 2014 (dep. 24 ottobre 2014), n. 44369, in CED Cass. pen., 2015.
[11]Cass. pen., sez. II, sentenza ud. 9 aprile 2014 (dep. 4 giugno 2014), n. 23211, in CED Cass. pen., 2014.
[12]Cass. pen., Sez. Un., sentenza ud. 28 marzo 2001 (dep. 27 aprile 2001), n. 10, in Cass. pen. 2001, 2662, con nota di S. ARDITA, Partecipazione all’associazione mafiosa e aggravante speciale dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991. Concorso di aggravanti di mafia nel delitto di estorsione. Problemi di compatibilità tecnico-giuridica e intenzione del legislatore.
[13]Cass. pen., sez. II, sentenza ud. 19 dicembre 2012 (dep. 18 gennaio 2013), n. 2740, in CED Cass. pen., 2012.
[14]Cass. pen., sez. II, sentenza ud. 9 aprile 2014 (dep. 4 giugno 2014), n. 23211, in CED Cass. pen., 2014.
[15]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 28 aprile 2015 (dep. 20 maggio 2015), n. 20908, in CED Cass. pen., 2015.

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Antonio di Tullio D Elisiis

Antonio DI TULLIO D’ELISIIS, avvocato del Foro di Larino, è appassionato di diritto penale sostanziale e procedurale. E’ autore di diverse pubblicazioni e di plurimi articoli presso diverse riviste telematiche.

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