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Corte Costituzionale: i Magistrati e la vita politica

Un ritornello che ciclicamente accompagna la vita di un politico, quando questo rimane coinvolto in uno o più procedimenti giudiziari, è quello che riguarda una presunta o meno politicizzazione della magistratura.
La sentenza n. 170/2018 ha visto impegnata la Corte Costituzionale nel tentativo di sbrogliare un nodo normativo in tema. A smuovere le cose era stata la Sezione Disciplinare del Csm, il quale sosteneva che l’illecito disciplinare previsto dell’art. 3, comma I, lettera h, del Dlgs n. 109 del 2006 – il divieto per i magistrati di iscrizione a partiti politici e alla partecipazione sistematica all’attività del partito – entrasse in conflitto con gli artt. 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, ovvero con tutto ciò che concerne la libertà di associazione e partecipazione del cittadino alla vita politica.
In prima battuta, secondo i giudici, è giustissimo preservare i principi di indipendenza e imparzialità che devono contraddistinguere la figura del magistrato, e questo in tutti gli aspetti della sua vita pubblica. L’illecito in esame, come può essere facile intuire in questo senso, è una forma di garanzia e, perciò, riguarda tutti i magistrati.
Arrivati fin qui è bene specificare la fondamentale distinzione tra esercizio dell’elettorato e schieramento con le parti politiche. Quindi, per tutti quei magistrati temporaneamente fuori ruolo a causa dell’esercizio di mandato elettivo o incarico politico, sarà discrezione della Sezione Disciplinare del Csm valutare caso per caso eventuali violazioni.
Come si legge nella sentenza, la partecipazione attraverso l’iscrizione a un partito politico è senz’altro una «fattispecie rivelatrice, come si è detto, di una stabile e continuativa adesione del magistrato a un determinato partito politico» il cui «oggettivo disvalore non è suscettibile di attenuazioni». La valutazione della continuità della partecipazione alla vita di un partito, invece, «esclude ogni automatismo sanzionatorio permettendo, al contrario, soluzioni adeguate alle peculiarità dei singoli casi. E se tale rilievo vale, in generale, per tutti i magistrati, vale particolarmente per coloro, tra di essi, che siano collocati in aspettativa per soddisfare i diritti fondamentali garantiti dall’art. 51 della Costituzioni» (accesso alle funzioni pubbliche).
Per concludere, quanto si evince dalla sentenza è che i magistrati non vedono lesi i propri diritti politici nel caso di una partecipazione alla vita politica in senso di candidatura alle elezioni o la copertura di incarichi di natura politica (secondo certe condizioni), ma la partecipazione continuativa e sistematica all’attività politica può essere considerata illecito. Una bella matassa.
 

Fonte: Corte Costituzionale
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