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Morti bianche: diritto dei familiari al risarcimento

Oltre la rendita offerta dall’Inail, quale mera conseguenza del fatto che la morte deriva da infortunio o malattia occorsa sul lavoro, si pone, ove il fatto costituisca reato perseguibile d’ufficio, il diritto al risarcimento del danno ulteriore o differenziale ossia per il maggior valore non più a carico dell’assicurazione sociale bensì del datore di lavoro.
Infatti l’art.2087 c.c. è chiaro: «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica (il cosiddetto stato dell’arte), sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
Pertanto se la morte è causata o concausata da condizioni di lavoro irrispettose delle norme sulla sicurezza scatta il risarcimento del danno da parte del dal datore di lavoro in favore dei congiunti del lavoratore defunto, tanto perché eredi, quanto in proprio.
Sotto il primo profilo si tratta degli stessi diritti risarcitori del defunto che entrano nel patrimonio degli eredi, come nel caso del cosiddetto danno tanatologico, che consiste nelle sofferenze psicologiche della vittima che assiste allo spegnersi della propria vita.
Trattandosi di responsabilità contrattuale da inadempimento dell’obbligo di sicurezza, gli eredi basta si limitino a provare il fatto costituente l’inadempimento delle norme di sicurezza e il nesso di causalità materiale tra questo e la morte del congiunto. Al datore di lavoro spetta poi provare di avere approntato tutte le misure di sicurezza del caso e che l’evento nefasto è da ricondursi a un evento imprevisto e imprevedibile.
Sotto il secondo profilo si tratta di diritti risarcitori propri dei prossimi congiunti, sia di natura patrimoniale (es. spese funerarie, quale danno emergente; il venir meno di una fonte di reddito necessaria al proprio sostentamento ossia i contributi economici che la vittima dell’illecito avrebbe corrisposto ai congiunti negli anni a venire, quale lucro cessante) che non patrimoniale (danno da perdita del rapporto parentale, danno esistenziale, danno biologico corroborato da documentazione medica).
Trattandosi di responsabilità contrattuale, i congiunti devono provare la colpa o il dolo del datore di lavoro nell’inosservanza delle prescrizioni di sicurezza.
Inoltre i congiunti devono provare l’intensità del vincolo familiare, che però si presume in caso di convivenza.
Mancando la convivenza occorre dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo, sia per la commisurazione, che per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da morte del congiunto.
In questo senso assai interessante è la sentenza della Cassazione Penale, Sez. IV, 09/02/2017, n. 11428 per la quale «la circostanza di aver intrattenuto rapporti con un congiunto solo mediante messaggi sms o sul social network Facebook è insufficiente a far ritenere provata la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo con il defunto che consenta il risarcimento del danno».
Insomma la perdita di un congiunto “virtuale” non determina alcuno sconvolgimento esistenziale degno di ristoro.

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