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Istituti penitenziari e telemedicina: questione di privacy

Come da definizione contenuta nelle Linee di indirizzo del Ministero della Salute, la Telemedicina è il «ricorso a tecnologie innovative, in particolare alle Information and Communication Technologies (ICT), in situazioni in cui il professionista della salute e il paziente (o due professionisti) non si trovano nella stessa località». Il testo, però, chiarisce subito che tale branca «non sostituisce la prestazione sanitaria tradizionale nel rapporto personale medico-paziente, ma la integra per potenzialmente migliorare efficacia, efficienza e appropriatezza».
Tale precisazione atta a chiarire qualsiasi dubbi nei riguarda della virtualità del rapporto medico-paziente, non basta però a dare una scossa alla situazione italiana. Se è vero che molti pazienti ricorrono già a interazioni tramite mail e Whatsapp col proprio medico – facilitando così anche la comunicazione in quanto più chiara e precisa (anche grazie al rilascio di una traccia scritta) – non dobbiamo dimenticare di essere in ritardo in tema di ricorso alle ICT. Non tanto per questioni culturali, quanto per effettivi ostacoli giuridici e organizzativi.
Una delle problematiche sollevate più spesso è la messa in sicurezza durante la trasmissione di dati sensibili, i quali già problematici per la società “libera” e ancora più per quanto riguarda i detenuti (le cui informazioni devono attraversare anche l’Amministrazione e altri soggetti terzi). Testimone il fatto che l’introduzione di un Sistema Informatico di trasmissione dei dati sensibili sarebbe presente da ben un decennio nelle linee programmatiche dell’Amministrazione Penitenziaria. Tuttavia, intercorrono imperterriti alcuni ostacoli di natura giuridica.
I vantaggi portati da tale adozione sarebbero sufficienti da far apparire obbligata una scelta in tal merito:

  1. maggiore razionalizzazione di invii nei centri clinici;
  2. risparmio di risorse umane e quindi economiche;
  3. vantaggi sul piano della sicurezza;
  4. tempestività delle refertazioni;
  5. monitoraggio costante dei dati clinici;
  6. prescrizioni e farmaci in tempi brevi;
  7. continuità di cure e assistenza grazie al diario clinico che segue la persona detenuta negli spostamenti su tutto il territorio.

Ci sono stati, comunque, dei passi avanti.
22 gennaio 2015: la Conferenza Unificata Stato Regioni approva un accordo per favorire un modello innovativo di gestione della salute all’interno degli istituti di pena «anche attravero il ricorso alle nuove tecnologie e alla telemedicina». Se ne sviluppano alcune linee di attuazione da parte degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, per poi presentare al Ministero il Diario clinico del detenuto. Tale progetto di Federsanità ANCI prevede una semplificazione dei rapporti in modo da coinvolgere più agevolmente “il mondo delle Carceri” e il “mondo degli Ospedali”, i cui poli sono presentati dal DAP (interconnesso con tutti gli Istituti di Pena) e da Federsanità, attraverso una specifica Piattaforma di Interoperabilità.
4 agosto 2016: la proposta viene assunta dal Ministero, il quale promuove una convenzione tra i Dipartimenti dell’amministrazione penitenziaria, della Giustizia minorile e la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati (DGSIA) con Federsanità ANCI. La convenzione viene siglata e rinnovata per il biennio il 17 ottobre 2017.
Nella Convenzione si prevede una piattaforma informatica di trasmissione dei dati sanitari della persona detenuta, sia essa adulta sia minore. Di conseguenza l’approfondimento della questione da parte dell’Ufficio del Garante della Privacy, con l’obiettivo di stendere una normativa per disciplinare l’accesso ai dati da parte di personale qualificato non sanitario.
La telemedicina non è più solo teoria, ma ha visto sorgere alcune prime messe in campo. A breve avverrà l’avvio della sperimentazione in Calabria. Nella casa circondariale di Lecce, invece, è stato predisposto un poliambulatorio completo di apparecchiature diagnostiche e personale sanitario adeguato. Qui il detenuto può effettuare una radiografia, inviarla allo specialista in ospedale e ricevere il referto per via telematica. Un progetto costato 18mila euro e finanziato al 50% dall’Asl e dalla direzione del carcere.
Nei due istituti di Civitavecchia, è attivo un servizio di telecardiologia per la refertazione dei tracciati elettrocardiografici.
Dalla parte degli ospedali è da segnalare il San Giovanni di Roma, una delle prime strutture ospedaliere ad attuare la telemedicina con un istituto penitenziario. Risale al 2015 l’attivazione di un servizio di telemonitoraggio e teleconsulto con Regina Coeli, grazie a un software sviluppato in house.
In conclusione è giusto dare il giusto plauso alle iniziative appena elencate e quante stanno approntandosi in questo momento. Oltre a essere ottimi casi di studio per comprendere vantaggi e criticità del sistema telemedico, esse sono un tassello in quella che ci auguriamo essere una riforma a livello nazionale della medicina penitenziaria.
 

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