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Centri per l'impiego e migranti: spiegato il concetto di 'residenza'

Non è un mistero che una norma, al suo interno, possa nascondere un problema interpretativo. È il caso del requisito di residenza necessario per l’iscrizione ai centri per l’impiego, per la spiegazione del quale è intervenuta ANPAL (Agenzia Nazionale politiche attive del lavoro).
L’art. 11, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 150/2015 specifica che la «disponibilità dei servizi e misure di politica attiva del lavoro» sia riservata «a tutti i residenti sul territorio italiano, a prescindere dalla regione o provincia autonoma di riferimento». Una tale definizione, però, va a creare un problema quando la domanda viene presentata da un richiedente protezione internazionale, il quale il più delle volte risulta sprovvisto della necessaria iscrizione anagrafica in quanto risiede in un centro di accoglienza. Una débâcle che, come è facile intuire, va a inficiare coloro i quali possono svolgere regolarmente attività lavorativa a partire dal sessantesimo giorno di presentazione della domanda di protezione; una mancata iscrizione anagrafica che preclude al soggetto la possibilità di accedere al mercato del lavoro.
L’intervento di ANPAL si inserisce in questo contesto, proponendo una più ampia definizione del concetto di ‘residenza’, designando come requisito sufficiente anche la sola prova di dimora abituale in un dato luogo. L’interpretazione è stata possibile andando a esaminare l’art. 5, comma 3, del D.lgs. 142/2015, secondo cui si può intendere ‘dimora abituale’ il luogo in cui viene accolto il richiedente protezione una volta ricevuto il permesso di soggiorno. «Poiché tale norma riveste il carattere di lex specialis con riferimento a questa specifica categoria di soggetti particolarmente vulnerabili», ha specificato l’Agenzia, «il requisito della residenza anagrafica per l’accesso ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro erogati dai Centri per l’impiego – previsto dall’articolo 11 del D.Lgs. 150/2015 – per i richiedenti/titolari protezione internazionale è soddisfatto dal luogo di dimora abituale».
Una precisazione, questa sul concetto di ‘residenza’, che non avrebbe nemmeno dovuto avere luogo in quanto già presente nella normativa, se non per scoraggiare quelle amministrazioni locali che hanno avviato ogni genere di resistenza nel momento in cui i richiedenti protezione hanno cominciato a fare domanda per un impiego.
Rimane, però, un problema ancora aperto: quello di coloro i quali, non essendo richiedenti asilo, si vedono negare la possibilità di usufruire di tali politiche sul lavoro.
 
 

Fonte: Asgi
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