Diritto di famigliaLavoro e previdenzaNews giuridiche

Sfrutti il congedo parentale e non stai col figlio? Licenziato!

Ottieni un congedo parentale adottando la scusa di voler stare con tuo figlio e poi, da gran signore, ti dedichi ad altro? Stai bene attento: il licenziamento è dietro l’angolo.
È quanto si evince dalla sentenza n. 509 dell’11 gennaio 2018 emessa dalla Corte di Cassazione, trovatasi a respingere il ricorso mosso dal dipendente di una società automobilistica vistosi licenziare perché era risultato che nei 10 giorni di congedo ottenuti «per oltre la metà del tempo non aveva svolto alcuna attività a favore del figlio». Decisione confermata anche in appello dalla Corte di L’Aquila.
Contrario, come ben si può pensare, il parere del lavoratore. Secondo lui, infatti, nel Testo unico sulla maternità a paternità (Dlgs 151/2001) «non v’è traccia della necessità che il congedo sia gestito garantendo al minore una presenza “prevalente”, ovvero caratterizzata da continuità ed esclusività», trattandosi, diversamente dai permessi per l’assistenza ai disabili ex lege n. 104/92, di un istituto mirante «al soddisfacimento dei bisogni affettivi e relazionali del figlio».
La Cassazione in principio ha ricordato il diritto in possesso di ogni genitore – di un bambino di massimo otto anni – di potersi astenere dal lavoro per un periodo di sei mesi, con indennità calcolata in percentuale sullo stipendio. Tale diritto, però, non può essere esercitato senza controlli.
In presenza di un abuso del suddetto diritto il datore di lavoro è «privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione dell’affidamento da lui riposto nel medesimo», senza contare l’«indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza». L’abuso, nello specifico, avviene «allorché il diritto venga esercitato non per la cura diretta del bambino, bensì per attendere ad altra attività di lavoro, ancorché incidente positivamente sulla organizzazione economica e sociale della famiglia». Poi continua: «Ma analogo ragionamento può essere sviluppato anche nel caso sottoposto in cui il genitore trascuri la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività che non sia in diretta relazione con detta cura». Ciò che conta «non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore».
Su tale diritto, occorre ricordare quanto espresso dalla Corte Costituzionale (nn. 371/2003; 385/2005): la tutela della paternità si risolve «in misure volte a garantire il rapporto del padre con la prole in modo da soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità e del suo inserimento nella famiglia». «Tutte esigenze che, richiedendo evidentemente la presenza del padre accanto al bambino, sono impedite dallo svolgimento dell’attività lavorativa (quella rispetto alla quale si chiede il congedo) e impongono pertanto la sospensione di questa, affinché il padre dedichi alla cura del figlio il tempo che avrebbe invece dovuto dedicare al lavoro».
La Cassazione, nella sentenza n. 16207/2008 aveva già espresso che «una siffatta conversione delle ore di lavoro, se pure non deve essere intesa alla stregua di una rigida sovrapponibilità temporale, non può però ammettere un’accudienza soltanto indiretta, per interposta persona, mediante il solo contributo ad una migliore organizzazione della vita familiare».
 

Fonte: IlSole24Ore
Rimani sempre aggiornato sui nostri articoli e prodotti
Mostra altro

staff

Redazione interna sito web giuridica.net

Articoli correlati

Lascia un commento

Controlla altro
Close
Back to top button